L’uomo d’acciaio: recensione film

thumb_notizieCONFUSO NELLA SCENEGGIATURA IL CINECOMIC È SOLO UN INCIPIT TROPPO LUNGO DEL SUO FUTURO SEQUEL CHE FA RIMPIANGERE IL LAVORO DI RICHARD DONNER

GENERE: cinecomic

DATA DI USCITA: 20 giugno

Era il 1978 quando Richard Donner diresse Superman quello che è da considerare il padre del cine-comic genere che, da 10 anni a questa parte, ha un successo enorme di incassi, di pubblico e anche, in alcuni casi, di critica ed è stato in grado di dar vita a ottimi film, come la trilogia de Il cavaliere oscuro.

Sette anni fa Bryan Singer con Superman returns aveva già provato a creare un reboot sul supereroe ma il risultato fu un film che divise il pubblico e fu estremamente vicino, quasi un omaggio, a quello diretto da Donner.

Con L’uomo d’acciaio e per dare nuova vita al Superuomo è stato scelto il team che con Batman (Il cavaliere oscuro) fu in grado di fare miracoli: lo sceneggiatore David S. Goyer, il produttore Christopher Nolan (regista della Bat-trilogia), la Legendary Pictures  con in aggiunta il regista Zack Snyder.

La natura di Superman in questo lungometraggio è stata completamente reinventata: Kryptnon è sotto assedio e nel bel mezzo di una faida che contrappone Jor-El (Russel Crowe) al generale Zod (Michael Zannn) fino a che il secondo non viene condannato dalle massime autorità del pianeta. Purtroppo la fine e vicina così Jo-El e la moglie Lara Lor Van decidono di mandare il loro erede maschio, Kal-En, in un posto sicuro.

Il neonato arriva sulla Terra, a Smalville nel Kansas, ed è adottato dalla famiglia Kant e da loro chiamato Clark.

Clark crescendo incomincia a rendersi conto dei suoi superpoteri e per questo viene molto protetto dalla sua famiglia soprattutto dal padre, interpretato da un Kevin Costner decisamente sotto tono, che gli sottolinea quanto il mondo non sia pronto a un essere speciale come lui, crescendo così nell’idea di dover nascondere le sue qualità extraterrestri.

Diventato adulto il ragazzo va alla ricerca delle risposte sulla sua identità e le trova in una proiezione del suo padre naturale che lo convince a diventare la speranza dei terrestri proprio nel momento in cui il generale Zod lo trova e minaccia per il pianeta Terra…

La sceneggiatura de L’uomo d’acciaio è a dir poco confusa e questo, insieme alle continue digressioni che spiegano sia come Clark è arrivato alla scoperta dei suoi poteri sia i problemi relazionali e d’integrazione che la super forza gli ha provocato, rendono il film difficile da seguire.

Una serie di tematiche, anche importanti, vengono inserite in uno script che non riesce a concluderne una: Superman in questo suo reboot  è descritto, partendo dalla scena della sua nascita, che sembra una versione futuristica della natività e che apre il lungometraggio, quasi come un messia ed anche un salvatore che come Mosè viene abbandonato dalla madre per sottrarlo alla morte, in questo caso non sulle acque del fiume Nilo ma nella Galassia. La S sul petto è l’iniziale della parola Speranza per un mondo che non è in grado ancora di accettarlo come salvatore. E poi l’emarginazione, la ricerca di se stessi, il senso di colpa nei confronti del padre adottivo che pur di non mostrare alle persone un figlio diverso preferisce morire, lo scontro di nature e ideali differenti, l’abbandono delle origini per diventare parte integrante di ciò che è il proprio vissuto.

Tanto, troppo per un film che sul finale mostra di voler essere solo l’incipit di un personaggio, che è palese, fiorirà nel sequel.

In mezzo a questo tsunami d’immagini e temi ciò che spicca non è tanto il protagonista Henry Cavill, più credibile nel ruolo del ragazzo spaesato che in quello del supereore, ma il villain Michael Shannon.

Girato quasi tutto con shaky cam, quindi a mano, il film è stato convertito in un ottimo 3D e vanta una buona fotografia che tuttavia si perde un po’ nelle parti in cui compare Clark bambino e poi adolescente, che sembrano quasi essere state prese in prestito dalla serie televisiva Smalville. Ottima invece la ricostruzione, tutta creata in post produzione, di Krypton. Altro neo invece sono gli scontri tra Superman e il generale Zod, prolissi e ripetitivi: sempre uguali che rinviano anche alle immagini tragiche dell’11 settembre.

L’uomo d’acciaio in conclusione è un cinecomic dal punto di vista degli effetti speciali e delle immagini anche buono ma che pecca di una verbosità di sceneggiatura quasi mai funzionale, così da risultare alla fine troppo e mai abbastanza. Il lato positivo, paradossalmente, è che questo è solo l’inizio: dopo aver detto tutto il superfluo, il sequel non potrà che essere migliore dato che essere peggiore sarebbe un’impresa davvero ardua anche per un supereroe.

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