Il mondo di Arthur Newman: recensione film

UNA BUONA IDEA CHE NEL SUO SVILUPPO CADE NELLA TRAPPOLA DEL GIÀ VISTO

GENERE: drammatico

USCITA IN SALA: 5 settembre

VOTO: 2,5 su 5

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Se il concetto di Anima Gemella potesse essere spiegato attraverso un film sicuramente Il mondo di Arthur Newman, primo lungometraggio dell’italoamericano Dante Ariola famoso regista di spot televisivi, sarebbe un lavoro adatto per farlo.

Wallace Avery (Colin Firth) è stanco della sua vita che viaggia sul binario della mediocrità: ex marito, padre assente, ex golfista con un insuccesso che gli pesa sull’esistenza. L’uomo decide un giorno di fingere il suicidio per poter ricominciare da zero con una nuova identità. Il suo nome sarà Arthur Newman e il suo scopo è quello di intraprendere un viaggio verso Terre Haute, indiana. Tutto sembra procedere per il meglio fino a che l’uomo non incontra sulla sua strada Michaela Fitzgerald (Emily Blunt) una donna che ha preso in prestito il nome della sua sorella gemella, anche lei in fuga dalla realtà. I due intraprendono così un viaggio on the road che li porterà ad amarsi attraverso le identità di altre coppie in altre case e in altri vestiti fino ad arrivare alla consapevolezza che dalla vita vera, e dagli affetti, non si può scappare.

Il buon soggetto di Il mondo di Arthur Newman ha come protagonisti due personaggi molto simili che hanno in comune la stessa voglia di voler troncare col passato e di non voler essere se stessi che sullo sfondo di un’America che poco conosciuta (che avrebbe dovuto essere più sfruttata) si incontrano, si scontrano e non possono fare a meno di attrarsi. Purtroppo però la pellicola soffre di una sindrome di “già visto” e di una lentezza narrativa che non riesce a far appassionare lo spettatore.

Un Colin Firth un po’ sotto tono risulta meno credibile della sua compagna Emily Blunt che è perfetta nella parte della ragazza spezzata e dark, nonostante anche nella caratterizzazione del suo personaggio si abbia la sensazione che manchi qualcosa.

L’apprezzabile tentativo di non voler far cadere il lungometraggio nella trappola del melodrammatico priva però il film, ben girato, di emozioni: tutto è sottotono dai personaggi, alle azioni e le reazioni.

Manca il colpo di scena, manca il pathos e manca il sentimento: tutte caratteristiche che in un lungometraggio che vorrebbe raccontare una storia d’amore sono fondamentali.

 

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