DELBONO RACCONTA L’AMORE E LA MORTE
DURATA: 92′
DATA DI USCITA: 11 Gennaio 2013
Prospero Gallinari è stato un brigatista che, tra le altre cose, ebbe il ruolo di carcerario nel sequestro Moro. È con le immagini del suo funerale che Pippo Delbono apre il suo nuovo lungometraggio, Sangue: una bara seguita una fila di gente di tutte le età dai nostalgici ai giovani privi di una conoscenza storica che probabilmente di quel corteo funebre hanno fatto parte più per sentirsi al sicuro in un branco che per vera coscienza politica.
Dopo Amore Carne ancora una volta Pippo Delbono attraverso la sua storia personale, frammenti della vita, cerca di dire qualcosa, di raccontare temi, stavolta molto delicati, come l’amicizia, l’amore e la morte e lo fa attraverso luoghi e personaggi che sono sinonimo di questi concetti nella sua esistenza e non solo.
L’amicizia e l’Italia violenta delle Brigate Rosse vengono messe in scena attraverso i dialoghi tra il regista e Giovanni Senzani ora in semi libertà dopo aver scontato 17 anni di carcere per essere stato un esponente di primo piano dell’organizzazione criminale e a sua volta una delle menti del sequestro Moro, l’amore invece è mostrato attraverso i teneri monologhi della madre e i pensieri che lo stesso Giovanni esprime per quella donna che l’ha aspettato 30 anni, Anna. La morte è il filo conduttore di queste storie: la morte dell’Aquila mai rinata dopo il terremoto e vittima oltre che di quelle atroci scosse anche di promesse mai mantenute, la morte della piccola donna che ha dato la vita a Delbono, la morte di Anna e anche la morte di Fabrizio Peci, primo brigatista pentito, ucciso con 11 proiettili e che rivive nel racconto di Senzani che era presente all’esecuzione e che lo interrogò prima dell’atroce fine.
Anche in questo suo nuovo lavoro Delbono usa mezzi di fortuna per dirigere: in alcune scene è palese che tra le sue mani ci sia una semplice fotocamera e nulla più.
Sangue, titolo che rimanda all’ossimoro dato che è un sostantivo che rimanda alla vita e non certo alla morte, è un film complesso, opinabile nelle scelte che Delbono fa non solo perché il coprotagonista è un brigatista e un assassino che non cerca redenzione perchè sa di non poterla ottenere ma per le immagini crude della madre del regista che viene letteralmente accompagnata da lui, e di conseguenza dallo spettatore, nella tomba.
Non è la prima volta che Delbono rende pubblico qualcosa di intimo come il dolore per la perdita di un genitore la sua particolare personalità lascia comunque aperti quesiti che vorrebbero sapere se lo fa per esorcizzare il dolore o con la consapevolezza che quelle immagini terribili sono materiale per un progetto. La risposta non c’è e giudizio su questo è soggettivo in quanto morale.
La verità è che al di là di ogni tipo di polemica non si rimane mai indifferenti innanzi a un lungometraggio di Pippo Delbono e il suo egocentrismo, di cui ogni suo lavoro è pieno, sarà felice di questo.