Universitari – Molto più che amici: recensione film

LA PEGGIO (E FINTA) GIOVENTÙ RACCONTATA DA FEDERICO MOCCIA

universitari_moccia_posterGENERE: commedia

DATA DI USCITA: 26 settembre

DURATA: 93′

VOTO: 1 su 5

Da Amore 14 a Universitari il passo è breve e racchiude i migliori anni dell’esistenza: quelli in cui Moccia non ha girato nessun film e in cui nessun altro regista ha avuto l’imbarazzante idea di trasporre un suo romanzo.

Se nella letteratura il passo è stato più audace, ma non meno doloroso per i lettori, e il Moccia scrittore è passato con nonchalance dagli amori adolescenziali a quelli adulti pubblicando L’uomo che non voleva amare e Quell’attimo di felicità, nel cinema le Età di Federì sono state più coerenti, transumando dalle vicende della Roma degli adolescenti bene di Babi, Pallina, Niki e del resto dei protagonisti (dai discutibili nomignoli che lo stesso scritto-regista prende in giro in una battuta di questo film) dei suoi teen drama de’ noantri a quelle degli universitari sognatori e squattrinati.

Villa Gioconda è un’ex clinica privata in disuso che la padrona ha deciso di affittare senza ristrutturarla a studenti bisognosi e non troppo esigenti. Carlo, uno studente del Centro Sperimentale di Cinematografia dalla disastrata famiglia, Faraz, un iraniano che ha l’ambizione di diventare un ingegnere nucleare, e Alessandro, un cabarettista che per doveri familiari frequenta medicina, vivono da tempo nella residenza alla quale si aggiungeranno tre ragazze: Giorgia, una ricca aspirante designer, Francesca, una ciociara di gran cuore e Emma, la cui bella presenza la porta a voler sfondare nel mondo dello spettacolo.

Di Universitari non si salva nulla, addirittura la solitamente brava Paola Minaccioni riesce a non far ridere. La verosimiglianza tra le vite dei protagonisti (che Moccia – da sapiente sceneggiatore oltre che regista del film – cerca senza successo di avvicinare alla realtà riempendole di drammi esistenziali e familiari) e la loro condizione di fuori sede è del tutto inesistente. Ciò che tiene in piedi la pellicola è unicamente un continuo conato di luoghi comuni e di retoriche situazioni, totalmente slegate e raccontate dalla fastidiosa voce narrante di Simone Riccione nei panni dell’aspirante regista Carlo, che si completano in conclusioni tirate via dove l’amore vince sull’odio – per dirla alla Cavaliere -, eppure agognate dallo spettatore perché il supplizio abbia fine.

Il lungometraggio inoltre è la brutta prova di un gruppo di attori trentenni (o giù di lì) che giocano, e male, davanti alla telecamera, ad avere 10 anni di meno in ruoli dove l’aggettivo stereotipato non è ancora abbastanza. Temi/cliché, come la compravendita di esami, le relazioni prof/studentesse e la politica come alibi sempreverde per il fancazzismo, vengono solo, e inutilmente, accennati.

Carlo, protagonista e voce narrante, sembra quasi essere l’alter ego di Federico Moccia quando, in sede di laurea, si giustifica per non aver portato un cortometraggio indagine sugli studenti ma una loro storia romantica. Scuse che i professori accettano ma che il pubblico non può ritenere buone in questo ritratto rosa noia e plastificato de la peggio gioventù.

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