Aspirante Vedovo: recensione film

NON APPASSIONA NE’ DIVERTE IL REMAKE CONTEMPORANEO DEL FILM DI DINO RISI

aspirante vedovo locandinaGENERE: black comedy

DURATA: 84′

DATA DI USCITA: 10 Ottobre 2013

VOTO: 2 su 5

Il remake, come idea, non è mai così facile da mettere in pratica. Un po’ perché potrebbe far storcere il naso a quanti hanno amato l’originale, un po’ perché il regista che accetta questa sfida deve creare qualcosa di diverso rispetto al precedente. Quando poi si parla di ispirarsi ad un classico degli anni d’oro del cinema, la questione è interessante ma ancor più complicata. Aspirante Vedovo di Massimo Venier, è ispirato infatti a Il Vedovo di Dino Risi. Riportare sul grande schermo la commedia all’italiana, è anch’essa un’impresa quasi impossibile. Non ci sono più gli Alberto Sordi e i Franca Valeri di una volta, e neanche gli attori di oggi sembrano interessati ad arrivare a quel livello.

Venier si affida così a due comici italiani di tutto rispetto, che nel mondo dello spettacolo si destreggiano da anni, e che sanno far ridere anche senza far ridere. Quella che viene fuori è un’opera chiaramente adattata dal classico, ambientata però ai giorni nostri. D’altronde i protagonisti rappresentano due stereotipi di individui della nostra attuale società: Elvira Almiraghi (Luciana Littizzetto), ereditiera e donna in carriera che si preoccupa solo dei propri interessi economici; Alberto Nardi (Fabio De Luigi), il marito completamente incapace in campo finanziario, che non sa fare altro che il mantenuto. Una storia che si regge sull’obiettivo di Alberto di voler far fuori la moglie e vivere di rendita, stanco di umiliazioni e fallimenti. La Littizzetto e De Luigi riescono a caratterizzare i loro ruoli, staccando dai grandi nomi del passato e rendendoli più cinici che mai. Non c’è umanità nè sentimento tra i due. Lei da un tocco di superbia e ancor più sfrontatezza a Elvira, lui personifica la parte di ‘solito pirla’ che spesso gli vediamo recitare.

Il film nei suoi 84 minuti risulta a tratti noioso e superficiale, non riuscendo a coinvolgere lo spettatore nella trama dell’omicidio o a tifare per la cattiveria della moglie verso il marito.  Sebbene le inquadrature ravvicinate e i primi piani dovrebbero dar vita a familiarità, la poca rilevanza al fattore psicologico aumenta il distacco. Gli sketch comici non regalano neanche qualche risata, o perché qualcosa di visto e rivisto, o perché  troppo scontato anche per ridere. Entrambi i personaggi per quanto moderni e reali non creano un legame con chi guarda, che si ritrova in un mondo raccontato ogni giorno dai telegiornali o dai fatti di cronaca.

E’ tutto una denuncia all’Italia, ai loschi accordi tra industriali, all’impossibilità di avere finanziamenti se non sei nessuno, agli uomini di chiesa senza rigore, al potere dei soldi, all’interesse solo per i propri vantaggi, alla mancanza di qualunque valore morale. Una denuncia di quella che è la società così come la conosciamo. Venier ce la mostra attraverso una cartolina grigia e vuota senza possibilità di crescita, esattamente come i cantieri industriali di Nardi.

 

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