L’IMPONENTE RICOSTRUZIONE STORICA IN TERRA SOVIETICA PIACE SEPPUR CON UN LINGUAGGIO ICONICO MOLTO DISTANTE
GENERE: storico
DURATA: 135 minuti
VOTO: 3 su 5
Cominciamo ad abituarci ad avere visioni dall’oriente, l’est del mondo, che da una prospettiva geografica centrata e riconosciuta, equivale in modo casuale a tutto ciò che si estende alla destra della continente europeo. Ora molto di quelle terre reclamano il loro diritto di raccontare la storia attraverso il cinema, anche nelle pagine più dolorose che hanno macchiato la nostra umanità.
Una di queste viene dalla Madre Russia e Stalingrad 3D è un prodotto di alta fattura che in patria ha spopolato. Arriva con grandi attese e riesce a non deluderle del tutto qui al RomaFF8 l’opera magna di Fedor Bondarchurk, cresciuto a pane e Hollywood, ma con un linguaggio tutto suo, particolarmente caro alle proprie radici che non sempre arriva a questo tipo di spettatori.
Piena di inquadrature melense e dal ritmo lento e catartico, quasi epico per raccontare una battaglia muscolare e violentissima che ha strappato, in tutta la sua drammaticità, troppe vite umane, come ogni conflitto bellico porta con sé. Bondarchurk ci mette il suo, ha una visione storico-sociale molto di parte, ma cerca nella neutralità delle immagini un approccio col pubblico che avviene in maniera positiva solo in termini di pathos.
Ne abbiamo viste tante in sala di queste pellicole, ognuna col suo punto di vista, la linea narrativa scelta in questo caso è una storia sentimentale che si svolge sullo sfondo della seconda guerra mondiale, durante la battaglia di Stalingrado, per dare lustro al primo film russo prodotto completamente con la tecnologia del 3D.
In realtà, a partire dalla fotografia e dalla recitazione quasi imposta, sopra le righe, il senso di posticcio rimane in agguato fino all’ultima sequenza, la grandezza di un prodotto (più che film) che fa del suo ego il principale motore produttivo non basta a coprire lacune e carenze tecniche, pur avvalendosi di un soggetto che, sulla carta, piace e attrae, strisciando coi soldati nel fronte scavato.
L’originalità sta nell’affrontare un tema abusato con una spettacolarità del tutto intima, il lato opposto alla vecchia Europa e ancor più lontano dall’America del patriottismo strepitato. Il congegno finale inizialmente attrae, salvo poi rimanere inesploso negli sguardi del pubblico, come un ordigno bellico senza più capacità detonativa. Nella guerra senza tempo tra cineasti di settore, stavolta la battaglia non è vinta completamente.