TFF 31 – La battaglia di Solferino: recensione film

SULLO SFONDO DEL BALLOTTAGGIO TRA SARKOZY E HOLLANDE JUSTINE TRIET DISEGNA UNO SCONTRO FAMILIARE SULL’AFFIDAMENTO

Seconda guerra d’Indipendenza italiana: il 24 giugno del 1859 l’esercito austriaco e quello franco-piemontese combatterono una delle più grandi battaglie di quel periodo a Solferino. Proprio come i due eserciti anche il ballottaggio tra Hollande e Sarkozy e la lotta per l’affidamento delle bambine tra Laetitia e Vincent diventa un forte scontro.

Nella via parigina che prende il nome da quella guerriglia, rue Solférino, di metà ottocento c’è Laetitia, una giornalista, appostata davanti alla sede centrale del partito socialista mentre le sue due bambine sono con la baby sitter che ha la raccomandazione di non farle vedere al padre qualora lui si presentasse.

Sul nome di un’antica battaglia nel lungometraggio di Justine Triet se ne combattono di nuove e contemporanee: quella politica dei due aspiranti presidenti, in lotta per la direzione della Francia, e quella privata tra Laetitia e suo marito Vincent, in lotta per l’affidamento delle loro figlie.

La storia di una battaglia familiare come tante che ha sullo sfondo una battaglia politica precisa è un ottimo incipit sviluppato con gli stilemi classici del cinema francese dalla cineasta: la camera a mano, confine labile tra realtà e finzione, attori eccessivi nella loro recitazione colma di dialoghi a volte anche surreali, al di là dell’ambientazione della pellicola stessa, rendono questo lungometraggio un’opera propria della settima arte d’oltralpe.

In La battaglia di Solferino vita pubblica e privata si uniscono per le strade di Parigi nel momento in cui Vincent va ad aggredire Laetitia nel bel mezzo del suo lavoro ma l’ottima idea di partenza diventa, con l’andare avanti del lungometraggio che si sviluppa nell’arco temporale della giornata – 6 maggio 2012 –  che ha portato Hollande alla vittoria, solo lo spunto intelligente di un film che non riesce a convincere sino in fondo e che si ghettizza nel suo essere troppo francese per poter creare immedesimazione o interessare sino alla fine il pubblico internazionale.

Se il cinema d’oltralpe in questi ultimi anni ha avuto la caratteristica principale di divenire universale con questo lavoro ritorna ad essere impossibile da esportare oltre i confini di Francia facendo così un passetto indietro ma rimanendo, comunque, uno dei pochi fondato su l’originalità delle proprie idee.

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