Disconnect: recensione film

IL MONDO 2.0 RACCONTATO ATTRAVERSO UNA SERIE DI STORIE NEL LUNGOMETRAGGIO DI HENRY ALEX RUBIN

DisconnectGENERE: drammatico

DATA DI USCITA: 9 gennaio

DURATA: 115′

VOTO: 3 su 5

In Finlandia, tempo fa, è nato un progetto, We never look up, che ha come soggetto una serie di scatti fotografici in cui le persone, in varie location, sono immortalate a testa basta e alle prese con il proprio smartphone. L’idea è stata di una casa di telefonia che ha voluto mostrare come è cambiato il modo di comunicare dall’avvento dei telefoni tutto fare perennemente collegati a social network e chat.

La tecnologia 2.0 ha sicuramente cambiato il modo di vivere e di parlarsi degli esseri umani e da una verità lapalissiana come questa prende spunto Disconnect un film corale della migliore tradizione indipendente americana che vede alla regia Henry Alex Rubin, cineasta candidato agli Oscar del 2005 con Murderball.

Disconnect è un insieme di storie che durante il loro svolgersi si intersecano nella periferia newyorkese: dalla coppia in crisi alla quale è stata clonata la carta di credito, passando per quella del camboy e della reporter che si interessa alla sua storia e fino ad arrivare al cyber bullismo il lungometraggio ha come scopo principe quello di mostrare dall’interno gli effetti di esistenze perennemente connesse e con la testa china, come quelle nelle foto su citate, che si dimenticano di avere una vita reale attorno.

Ritmo e tensione sono gli elementi fondamentali di un racconto che non tralascia nessuna delle realtà 2.0 – social, forum, frodi – scoperta, indagando su cosa può accadere attraverso i suoi personaggi tra i quali quello che colpisce di più per la sua attualità e per le forti conseguenze è senza ombra di dubbio quella di Ben Boyd, ragazzino tanto timido da toccare l’asocialità, che viene preso in giro su internet da alcuni compagni che su Facebook creano il falso profilo di una ragazza con la quale il giovane protagonista instaura una relazione virtuale.

Triste e altrettanto conosciuta al mondo – anche se spesso nella realtà la protagonista è donna – è la storia emblema del camboy, interpretato dal modello Max Thieriot, pronto a tutto per soldi dietro lo schermo scudo di un computer che mostra la sua bellezza.

Disconnect potrebbe essere idealmente diviso in sue parti: la prima in cui i personaggi vengono minuziosamente descritti anche grazie alle parole che scrivono su internet e dove le storie e le personalità dei vari protagonisti sono ricche di un’introspezione che porta il pubblico ad appassionarsi ad ogni vicenda, anche quella della coppia che forse tra le tante è la più banale. A un certo punto, però, il registro di Rubin cambia appesantendo i toni di un lungometraggio fino a quel punto scorrevole per colpa anche di un insostenibile rallenty che vuole cucire tra di loro le azioni dei vari interpreti.

Furbo, contemporaneo e, per la maggior parte del tempo, onesto Disconnect è un film che potrebbe appassionare il pubblico tanto da farlo sentire, nel suo piccolo, protagonista di storie vicine a realtà qualunque e che, insieme al titolo, non fanno altro che dare un solo consiglio: disconnettiti. Almeno ogni tanto.

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