Berlinale 64 – Life of Riley: recensione film (in Concorso)

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IRONICAMENTE ALLA FRANCESE E VAGAMENTE CINEMATOGRAFICO, LIFE OF RILEY E’ STERILE E SENZA ALCUNA ORIGINALITA’

Una pantomima teatrale che poco sa di cinema e altrettanto meno di teatro. Una sorta di spettacolo nel film, o almeno questo sembra l’impatto iniziale. Le scenografie sono visibilmente finte e poco ricercate, parliamo di tende che rappresentano porte, teli verdi per le aiuole e fiori finte dal fascino plastificato. Tutto ha un posticcio gusto retrò che non convince sin dalla prima scena. Persino la musichetta di sottofondo ha un non so che di antico, ricorda le macchiette del cinema muto, ma ovviamente senza la genuina ironia di cui erano maestri.

L’ultima fatica di Alain Resnais, Life of Riley, è tutto incentrato sulla figura di George Riley, un uomo che ama la vita e le donne. Non gli resta però molto tempo, affetto da una grave malattia ha solo pochi mesi di vita.

Il dramma è raccontato da sei personaggi, tutti vicini a George e uniti tra di loro. Tra equivoci e tradimenti la storia scorre da sola senza troppi ostacoli. Un film che risulta privo di stimoli, tutto uguale e senza spina dorsale. Ironicamente alla francese e vagamente cinematografico, Life of Riley è sterile e senza alcuna originalità, nulla riesce a catturare l’attenzione dello spettatore. Ci si aspettavo molto di più da Alais Resnais, forse la sua non più giovane età avrà contribuito a questo scivolone. La pellicola delude ogni aspettativa portando sullo schermo una storia che sa di invecchiato male. Lo spettatore viene immerso in una pantomima noiosa ed inespressiva che non è supportata nemmeno dai discorsi, teatralmente caricati. La visione sin dall’inizio divine quindi difficile e tediosa.

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