Berlinale64 – Historia del Miedo: recensione film (in Concorso)

IL RACCONTO DELLA POVERTA’ ARGENTINA SI TINGE DI QUALUNQUISMO BORGEHESE 

La povertà dei bassifondi argentini si perde non solo nell’immondizia e nelle pozzanghere di acqua sporca, ma in un racconto noioso, scontato e pressapochista. L’idea iniziale di Historia del Miedo era probabilmente indagare da vicino e più profondamente i due estremi della società argentina, la parte ricca protetta dietro le vetrate delle ville lussuose e i bassifondi sporchi e nascosti sotto la sporcizia e il malumore.

Il racconto dell’esordiente Benjamin Naishat , partendo dal nulla, sconvolge la tranquillità dei quartieri residenziali. Fumo e sostanze inquinanti avvelenano l’aria e le coscienze di chi vive personalmente o solo di riflesso la realtà rappresentata. La pellicola, che inizia nel silenzio di un giardino abbandonato, arriva al caos e al terrore comune.

Una narrazione lenta, stabile e priva di ritmo. Un’ emotività che vorrebbe toccare gli animi e che invece  assopisce le menti. L’idea, se pur già trattata sul grande schermo, poteva rivelarsi appetibile e invece finisce per tingersi di un qualunquismo borghese che sa di già visto. Anche la scelta di attori alle prime armi è stato un grosso ostacolo e invece di donare alle pellicola quella genuinità richiesta finisce per essere una mozza azzardata e poco matura. Il film non convince affatto da nessun punto di vista. Si sarebbe potuto, dovuto, fare di più. Istoria del Miedo è una frase fatta che sarà presto dimenticata. Il giovane regista Benjamin Naishat, classe ’86, dà voce ad un racconto che più che far riflettere fa addormentare.

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