La Bella e la Bestia: recensione film

CHRISTOPHE GANS DIRIGE UN’ARIDA VERSIONE COPIA INCOLLA DI LA BELLA E LA BESTIA

La Bella e la BestiaGENERE: fiabesco

DATA DI USCITA: 27 febbraio

DURATA: 110’

VOTO: 1,5 su 5

Dell’opera di Madame Villeneuve pubblicata nel 1756 da Jeanne-Marie Leprince de Beaumont Magasin des enfants, ou dialogues entre une sage gouvernante et plusieurs de ses élèves vi sono due trasposizioni cinematografiche: la prima è quella di Jean Cocteau del 1946 la seconda è quella ben più nota e di disneyana fattura, natalizio regalo del 1991.

La classica versione di La bella e la Bestia del dopoguerra e quella relativamente più recente avevano già sfruttato al massimo le potenzialità narrative e prettamente fiabesche dell’opera, tanto che il lecito dubbio sulla necessità di portare sul grande schermo l’ennesima versione della favola si era palesato più e più volte. A dare qualche speranza alla pellicola di Christophe Gans sono stati, fin da subito, i protagonisti: vedere per una volta vestita, addirittura in abiti d’epoca, la splendida Lea Seydoux nata artisticamente grazie al pluripremiato La vita di Adele e ammirare il virile Vincent Cassel nei panni della Bestia poteva essere cosa buona e giusta, peccato che della brava attrice diretta da Abdellatif Kechiche e del volto imperfetto e maschio dell’attore francese, quasi sempre presente nel lungometraggio nella versione protofelina, vi sia poco e nulla.

Siamo nel 1810: un mercante ha perso tutto ciò che aveva in mare ed è per questo che si vede costretto a ritirarsi in campagna con i suoi sei figli. Durante il viaggio l’uomo scopre il castello della Bestia che lo condanna a morte per aver rubato una rosa, simbolo di un crudele incantesimo. Sarà una dei figli del mercante, Belle, a riscattare la vita del genitore.

Gans ambienta il suo lungometraggio in due epoche quella napoleonica e quella rinascimentale che si riferisce principalmente al periodo in cui la Bestia era un essere umano. Il tentativo del cineasta di puntare su aspetti sconosciuti dell’opera di Madame Villeneuve, quali ad esempio la famiglia di Belle dove le sorellastre sembrano prese in prestito dalla sua compagna di merende Cenerentola, e la maledizione spada di damocle che pesa sulla testa feroce della Bestia rimangono solo buone idee mal sviluppate in una sovrabbondanza di effetti speciali che non danno assolutamente qualsivoglia parvenza di qualità a un film che perde, minuto dopo minuto, la sua pur banalissima morale che punta sul cieco amore e su uno sviluppo introspettivo della protagonista che nel lungometraggio di Gans è totalmente assente mentre presenti, invece, risultano moltissime (volenti o nolenti?) citazioni e prestiti da altri film a partire dal cupo castello della Bestia che sembra fatto a immagine e somiglianza di quello di burtoniana matrice visto in Edward mani di forbice.

Il costoso riadattamento di Gans risponde, senza appello, alla domanda di cui sopra: no, di una nuova versione de La Bella e la Bestia nessuno necessitava, soprattutto tenendo conto che il desiderio più forte, alla vista della perennemente cupa fotografia in fastidiosa contrapposizione agli altrettanto perennemente luccicanti vestiti di Lea/Belle, che ha lo spettatore è quello che prima o poi arrivi Lumiere a intonare Stia con noi per stemperare la noia di una storia d’amore dove l’amore non c’è.

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