Blockbuster memories: Qualcuno volò sul nido del cuculo

QUALCUNO VOLÒ SUL NIDO DEL CUCULO È UN RACCONTO DI VITA E FOLLIA CHE METTE A NUDO LE FALLE DEL SISTEMA ISTITUZIONALE

Nel 1962 lo scrittore Ken Kesey scrisse Qualcuno volò sul nido del cuculo, libro di grande successo che prima portò l’opera a un riadattamento teatrale e più tardi nel 1975, grazie alla regia del cineasta cecoslovacco Miloš Forman, venne rielaborato anche su pellicola. Il film ebbe un successo indiscusso vincendo gli Oscar come miglior film, miglior regia, miglior attore e attrice protagonista e miglior sceneggiatura originale. Oltre i meriti, questo lungometraggio si afferma come Cult, affiancandosi ai miti incrollabili della cultura popolare come Easy Rider e Gioventù Bruciata.

Stati Uniti d’America, Ospedale psichiatrico di Salem  capitale di stato dell’Oregon. Da un carcere arriva il prigioniero Randle Patrick McMurphy (Jack Nicholson), che dovrà essere vagliato dagli specialisti in questione per determinare la veridicità sulla sua  presunta insanità mentale. Il ragazzo consenziente si inserisce all’interno di questa comunità controllata, cercando di spezzare la routine attraverso un atteggiamento anticonformista. Questa nuova aria anarchica trasmessa da McMurphy al resto dei pazienti mette in allarme l’intransigente infermiera Milfred Ratched (Louise Fletcher), pronta a tutto pur di ristabilire l’ordine e la disciplina totalitaria alla quale gli insani degenti erano abituati.

A causa del delicato argomento, che scuote le istituzioni fin dalle fondamenta, la critica mondiale ha sempre avuto dei pareri contrastanti su un film che dopo gli Oscar ha continuato a vincere,  portandosi a casa altri ventotto riconoscimenti.

Un cast perfettamente affiatato, dove su tutti spiccano i due portentosi premi Oscar Jack Nicholson e Louise Fletcher, veri poli opposti di questa malinconica storia. Sicuramente la scelta del protagonista maschile è stata saggia, dato che in quegli anni nessun attore come Nicholson riusciva ad impersonare figure guidate non dal semplice intelletto umano, ma solamente dal puro istinto animalesco.

Un racconto potente che furbescamente riesce a puntare il dito contro un sistema psichiatrico rigido e discriminante, focalizzando l’attenzione sull’emarginazione del diverso in quanto non conforme alle regole. Quindi il dubbio che viene istillato nelle menti degli spettatori parte dal termine stesso della pazzia, che non avendo regole, si scontra con lo stereotipo convenzionale di comportamento della società.

Questa è una pellicola dal messaggio chiaro e comprensibile già dal suo titolo, che rappresenta l’ideologia della vita comune, metaforizzandone luoghi ed eventi. L’essenza di questa continua metafora si evince nell’epilogo che è un vero e proprio inno alla libertà.

D’altra parte, venendo messo spesso alla prova, l’essere umano insegue costantemente la ricerca della felicità, ritrovandosi schiacciato e sovrastato da una burocrazia che impone delle regole comportamentali da seguire e che promette la libertà in cambio della somministrazione di sconosciute pillole spesso troppo amare.

 

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