Ti sposo ma non troppo: recensione film

DAL TEATRO AL GRANDE SCHERMO L’OPERA (CINEMATOGRAFICA) PRIMA DI GABRIELE PIGNOTTA TI SPOSO MA NON TROPPO

Ti sposo ma non troppoGENERE: commedia

DATA DI USCITA: 17 aprile

DURATA: 95’

VOTO: 2,5 su 5

L’amore non è cosa semplice. L’amore ai tempi di internet lo è ancor meno: le possibilità d’incontri dietro l’immagine di un avatar fittizio come le molteplici personalità di chi lo sfrutta, rendono ancora meno sicuro un sentimento che già di per sé, molte troppe volte, viene trascinato da routine, noia e mancanza di coraggio.

Di certo il coraggio però non è mancato, anche se è forse arrivato nel momento meno consono, al marito di Andrea (Vanessa Incontrada) che proprio a pochi passi dall’altare scappa a gambe levate. E nemmeno alla ragazza di Luca (Gabriele Pignotta) manca la forza di andarsene proprio nel momento in cui lui sta per chiederle di sposarsi. Le conseguenze dell’amore giunto al capolinea sono tante e se da una parte Andrea prova a farcela da sola Luca decide di farsi aiutare da uno psicologo lo stesso del quale prenderà il posto fingendosi un terapista anche con la povera ragazza lasciata a bocca asciutta sull’orlo dell’attesoche alla parola matrimonio continua ad avere dei mancamenti.

Nata per il palcoscenico Ti sposo ma non troppo segna l’esordio alla regia cinematografica per l’attore e sceneggiatore Gabriele Pignotta che del lungometraggio è anche il protagonista. Gli spunti interessanti del film non sono pochi anche se il problema di tale tipologia di romcom all’italiana è sempre lo stesso: nel momento in cui al tono realistico subentra quello favolistico che porterà, come da copione, al lieto fine questo genere di lungometraggi tutto sembra già visto, compresi gli equivoci.

La provenienza teatrale del lavoro è palesata dalla quasi totale mancanza di esterni e la scrittura dal ritmo serrato come i suoi dialoghi che a un certo punto si distende liberando i protagonisti dai propri fardelli.

Rimane apprezzabile comunque l’opera prima infiocchettata per la settima arte del (neo) cinematografico cineasta che non pecca mai di presunzione e tenta anche, per buona parte del film, di non eccedere nel romanticismo sfrenato per poi cadere, a peso morto, in una serie di ovvietà e buonismi che fanno crollare nella banalità più disarmante quella che in teatro, e nella prima parte anche sul grande schermo, poteva quasi essere una commedia piacevole.

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