Tutta Colpa del Vulcano: recensione film

TUTTA COLPA DEL VULCANO STIRACCHIA UNA VICENDA CHE ALLA LUNGA DIVENTA FOTOCOPIA DI SE STESSA, PERDENDOSI DIETRO UN UMORISMO ALTALENANTE DI UN VULCANO CHE ERUTTA SOLO METAFORICAMENTE

locandina-tutta-colpa-del-vulcanoGENERE: commedia

DURATA: 92′

DATA DI USCITA: 5 giugno

VOTO: 2 su 5

La casualità alcune volte tira brutti scherzi, facendoti ritrovare in situazioni più o meno desiderate, sconvolgendo e creando non pochi grattacapi, soprattutto se questa casualità ha a che fare con qualcosa o qualcuno che non si voleva più rivedere. Il bello delle cose però sta nel fatto che tutto cambia, si evolve e dal disastro inatteso, magari, con un po’ di immaginazione, vien fuori un destino che non si era preso in considerazione, facendo ricredere e cambiare idea anche su qualcosa che si è sempre allontanato e scansato.

Alain (Dany Boon) e Valérie (Valérie Bonneton) sono separati da anni e, nel corso del tempo, si sono sempre fatti dispetti a vicenda, alimentando costantemente il loro astio. La loro figlia si sposa in Grecia e, i due, inconsapevolmente, si ritrovano sullo stesso volo francese diretto a Corfù. Guarda caso il destino vuole che l’aereo deve cambiar rotta, a causa dell’eruzione del vulcano islandese Eyjfjallajökul, facendo scendere tutti nel primo aeroporto disponibile. Alain e Valérie, quindi, per arrivare in tempo al matrimonio, dovranno condividere loro malgrado il viaggio su terra, scendendo a compromessi e a patti non proprio duraturi, creando così una serie di circostanze al limite del disastroso.

È impossibile non ricordare quell’enorme nube di cenere, grigia e compatta, che nel 2010 bloccò praticamente tutti i cieli d’europa, creando disagi e scompiglio tra i viaggiatori. Proprio utilizzando questo interessante stratagemma, che diventa la miccia del discorso, nonché pedina degli eventi, Alexandre Coffre dirige Tutta Colpa del Vulcano. Il film, che diventa ben presto un on the road scanzonato e weird, costipato di incontri al limite e cattiverie paradossali, incappa in una messa in scena stiracchiata, con la vicenda che alla lunga diventa fotocopia di se stessa, perdendosi dietro un umorismo altalenante di un vulcano che erutta solo metaforicamente.

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