Medianeras – Innamorarsi a Buenos Aires: recensione film

MEDIANERAS SPIEGA PERCHÉ TROVARE L’AMORE NONOSTANTE L’OSTILITÀ DELLA CITTÀ, DELLA TECNOLOGIA E DELLE PROPRIE FOBIE NON È IMPOSSIBILE

locandina-medianeras-2662GENERE: drammatico

DURATA: 95′

USCITA IN SALA: 2 ottobre 2014

VOTO: 3,5 su 5

L’arrivo di internet e dell’era digitale ha rivoluzionato il nostro modo di vivere. È successo anche a Martin, che da anni è piazzato davanti al suo pc e si nutre di web. Non esce più: ordina cibo, fa compre per la casa, lavora, fa la spesa, fa sesso, tutto grazie alla connessione. Quelle poche volte che esce, si carica di uno zaino con tutto l’occorrente per le emergenze. Martin è un fobico in via di guarigione, che cerca di superare il suo senso di isolamento al quale il suo monolocale e internet lo hanno abituato. Mariana vive la sua stessa solitudine. Appena uscita da una lunga relazione, è un architetto che non ha mai progettato neanche un bagno. Vive facendo la vetrinista e gli unici con cui sembra riuscire a comunicare sono i manichini con i quali condivide il suo caotico appartamento; non prende l’ascensore da anni e ha paura di una città nella quale è convinta di non poter riconoscere la persona che cerca.

Nel 2011 presentato a Berlino e nello stesso anno vincitore al Gramado Film Festival come Miglior film e Miglior regia, Medianeras – Innamorarsi a Buenos Aires è l’ultimo lavoro di Gustavo Taretto, che si misura per la prima volta nella sua carriera con un lungometraggio (tratto da un suo corto). Fin dalla prima sequenza si rimane colpiti da una fitta successione di immagini e dettagli di una grande città e delle sue contraddizioni architettoniche, che nient’altro sono che le contraddizioni di una vita divisa tra senso di straniamento e continua ricerca di rapporti, in una metropoli tanto grande e dispersiva eppure in cui tutto sembra così vicino ma sfuggente.

La tecnologia, sempre più dominante nelle nostre vite, dovrebbe darci la possibilità di essere sempre connessi gli uni agli altri, ma in realtà ci porta a essere sempre più soli. E la città fa lo stesso, con il suo accatastare e allineare più costruzioni possibili senza una logica precostituita, con l’intento di stipare al loro interno il maggior numero di persone che nella loro moltitudine rimangono però isolate e sole. Le “scatole di scarpe” (monolocali) sono spesso buie e con appena una piccola finestra, e allora non resta che aprirne un’altra sulle medianeras, ovvero i lati dei palazzi che ospitano le pubblicità, e far entrare un po’ di luce nella propria vita.

Martin (Javier Drolas) e Mariana (Pilar Lòpez De Alaya) abitano in costruzioni adiacenti, ma non si sono mai visti, si cercano ma non si trovano, fino a quando il destino li porta a guardarsi dalle loro finestre sulle medianeras, a parlarsi senza vedersi, e a incontrarsi senza (ri)conoscersi. L’uso della voce fuori campo dei protagonisti immerge lo spettatore nel loro mondo privato, lo rende partecipe dei loro pensieri e sensazioni più intime, di un flusso di conoscenza che svela le debolezze delle loro (e delle nostre) esistenze.

Lo stile originale e ironico di Taretto, la fotografia e le immagini cartolina della metropoli argentina, sono la carta vincente di una storia che sarebbe potuta risultare banale e già vista, ma che invece ci fa aprire gli occhi su un mondo di cui facciamo pienamente parte, che sempre più porta ad allontanarci, quando al contrario abbiamo bisogno di sentirci vicini a qualcuno.

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