Venezia 71 – Tsili: intervista ad Amos Gitai

IL REGISTA ISRAELIANO CI PARLA DELLA SUA ULTIMA FATICA, TSILI, FUORI CONCORSO AL FESTIVAL

amos gitaiIl rapporto giovani medio-oriente deve essere molto caro ad Amos Gitai, regista israeliano attento a narrare i difficili equilibri di una terra sembra in bilico tra dolore e rinascita. Nel suo ultimo lavoro Tsili racconta gli orrori della shoah, rivisti attraverso gli occhi dell’omonima protagonista, volto innocente e sguardo intenso di una ragazza inserita in un contesto anni luce dai suoi desideri.

Un racconto che spacca in due un mondo disuguale, mai unito, opposte fazioni di un unico lembo di pianeta che è terra di speranza in un conflitto senza fine, segnato per sempre da una guerra infame. Abbiamo incontrato Gitai qui a #Venezia71 e quanto ci ha detto sottolinea in pieno la sua poetica:
Come hai scelto la tua Tsili? 

Ho fortemente voluto differenziare Tsili, per questo ruolo importante ho scelto due attrici differenti e una voce guida che ne esprimesse pensieri e riflessioni, anche quando fuori campo, anche nei momenti meno rivelati. Il resto lo danno la mimica e la gestualità di Sarah e Meshi, che hanno età diverse, ma caratteristiche simili e per questo sono adattisime al personaggio.

Perchè questa scelta linguistica e narrativa?

Il film è parlato in yiddish, che come è noto la lingua della diaspora europea e mi sembrava giusto omaggiare così un passato che ritorna giorno dopo giorno. Perchè la realtà dell’Olocausto supera ogni immaginazione, così ho presa in prestito la mia, di immaginazione, e ho tessuto un racconto che partendo da una base solida e veritiera, sviscera il dramma vissuto in quel periodo secondo un filo logico inventato, possibile, ma mai esistito. Un piano parallelo in cui si accettano per reali fatti straordinari, da un certo punto di vista impensabili e che invece sono accaduti davvero. Per quanto mi riguarda Tsili potrebbe aver avuto vita propria e per questo ho deciso di collocarla in una precisa epoca storica che mi sta molto a cuore.

Il film è incentrato quindi sulla necessità della memoria?

Assolutamente si, un dato di fatto da cui non possiamo allontanarci. Un caposaldo da cui poter creare racconti e fantasie, universi possibili che ruotano attorno ad un evento cruento. Grazie all’ingenuità di quando si è giovane che talvolta si compiono grandi imprese, come resistere a lungo nei boschi o sperare di poter cambiare la propria vita. Tsili rappresenta le numerose donne derubate della propria gioventù durante l’Olocausto e, se vogliamo, in un certo qual modo è un qualcosa che anche oggi accade. In maniera diversa, ma tangibile.

 

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