Roma Film Fest 2014 – Mio Papà: recensione film (Alice Nella Città)

MIO PAPÀ IL TORTUOSO CAMMINO DI UN PATRIGNO CHE VUOLE ESSERE CHIAMATO PADRE IN UNA FICTION DA GRANDE SCHERMO

giorgio-pasotti-mio-papà_305x380VOTO: 2,5 su 5

Mentre la serialità statunitense, e quindi i prodotti nati e distribuiti solo in televisione, Oltreoceano si avvicinano sempre di più qualitativamente a quelli cinematografici in Italia, spesso e volentieri, capita il contrario. Un esempio di questa tendenza – quasi suicida – è l’ultimo film dell’attore-regista Giulio Base, Mio Papà.

Nato, come idea, da una conversazione avvenuta in treno tra il cineasta torinese e l’attore Giorgio Pasotti, poi scelto infatti come protagonista, Mio Papà narra il rapporto, estremamente attuale in un’epoca di famiglie allargate e di instabili amori, tra un uomo e il figlio della sua compagna.

Lorenzo non vuole legami: la sua casa è il mare e per lui la terra ferma è mero sinonimo di svago. Le sue convinzioni cambiano grazie all’incontro con Claudia (Donatella Finocchiaro), giovane donna reduce da un rapporto d’amore andato in frantumi e madre di Matteo (Niccolò Calvagna). L’incontro tra Lorenzo e il piccolo co-protagonista di Mio Papà dà vita a un lento, inesorabile e tenerissimo avvicinarsi di due anime, bisognose l’una dell’altra, a loro modo gemelle.

L’esperienza dietro e avanti la macchina da presa di Giulio Base è maturata soprattutto grazie alla televisione e per questo non si può condannare troppo la fattura di un dramma familiare intenso e che mette al centro della scena non solo un percorso emotivo ma anche i dilemmi e le difficoltà di sentirsi, e di diventare, genitori al di là – e al di sopra – del sopravvalutato fattore genetico, eppure dal punto di vista puramente artistico Mio Papà ha davvero una fattura troppo fragile per essere considerato un film adatto al grande schermo.

La scrittura fonda bene ironia e drammaticità, risa regalate principalmente dai diversivi comici di Fabio Troiano e Ninetto Davoli che alleggeriscono l’intero lavoro ma neanche questo basta e, anzi, diventa quasi nulla innanzi alla poca cura delle inquadrature, della fotografia e di certi dialoghi. Da quella chiacchierata in treno tra un attore (che nel suo privato ha anche vissuto una situazione non diversa da quella del suo personaggio) e un regista è nata una storia che non è altro che il percorso tortuoso di un uomo per trasformarsi da patrigno a padre. Ed è un peccato che la strada intrapresa per raccontare questo cammino sia totalmente sbagliata.

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