Roma Film Fest 2014 – Angels of Revolution: recensione film (Cinema d’Oggi)

ANGELS OF REVOLUTION, IL POTERE STALINISTA SULLE POPOLAZIONI INDIGENE RACCONTATO IN UN FILM VISIONARIO

angels of revolutionVOTO: 4 su 5

Il film è ambientato nel 1934. Gli sciamani di due popolazioni indigene, i Nenets e i Chanthy, non hanno nessuna intenzione di accettare la nuova ideologia staliniana vigente nell’Unione Sovietica, a nord esplosa nel centro culturale di Kazym, che comprendeva una scuola, un ospedale, un ambulatorio veterinario e un museo. Per questo motivo 5 artisti d’avanguardia – un compositore, uno sculture, una cineasta, un architetto e un regista di teatro – vengono inviati dal regime sovietico alla volta della Siberia con l’obiettivo di modernizzare due culture lontane. A guidare i cinque ‘angeli della rivoluzione’, c’è Polina la Rivoluzionaria. L’impresa si rivelerà più difficile del previsto, perché le antiche divinità delle due popolazioni indigene vietano ogni forma di contatto con i Russi.

Ispirato a fatti realmente accaduti, Aleksey Fedorchenko dirige Angels of Revolution creando uno straordinario e visionario affresco attraverso la Russia stalinista che vuole applicare il comunismo anche nelle zone più remote del paese – ai limiti della Siberia. Il film è diviso in capitoli, atti a spiegare il lavoro di propaganda dei ‘cinque angeli della rivoluzione’, e ad essi si alternano i racconti dei personaggi e i riferimenti al regime sovietico, mostrati sotto forma di documentario. La narrazione è complessa da seguire, proprio per via di quest’alternanza di situazioni. Al centro c’è lei, Polina (Darya Ekamasova), che si muove con uno sfondo di immagini visionarie, sempre immerse nella natura, in situazioni a volte grottesche che strappano qualche sorriso.

Fedorchenko sfrutta il suo cinema ancora una volta per denunciare un regime, come quello sovietico, che negli anni trenta sottomise a forza due popolazioni antiche e rurali, abituate ai loro riti di sciamanesimo. In Angels of Revolution, tutti gli elementi di quel periodo buio diventano una metafora nel film: i ‘cinque angeli’ sostituiscono i kalashnikov, e quindi di conseguenza la parola e l’arte diventano armi di conversione. Le due etnie, abitanti nella selvaggia Yugra, non si abbassano alla modernizzazione sovietica, preferendo di gran lunga vivere nella loro dimensione umana, nello sciamanesimo e nella loro lingua di ceppo uralico. Una realtà che è rimasta viva anche oggi in Russia.

Polina fa di tutto per mettere in atto questa rivoluzione, che viene vista dal regista come una forzatura a ‘convertirsi’ al regime di Stalin. Anche se il regista mostra il tutto in maniera grottesca, alleggerendo quindi il tema, alla fine l’intervento delle forze armate è inevitabile. Un modo come un altro per dire che quando la forza delle parole e dell’arte non arriva a portare il suo messaggio, la violenza e le armi sono il mezzo per risolvere la situazione.

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Linguista, aspirante giornalista, amante del cinema, malata di serie tv, in particolare dei crime polizieschi.