Roma Film Fest 2014 – Phoenix: recensione film (Gala)

CHRISTIAN PETZOLD DIRIGE PHOENIX, UN FILM CHE GIOCA SUL DOPPIO E SUL RUOLO CHE SI PUÒ AVERE NELLA VITA DI UN’ALTRA PERSONA

phoenix-posterGENERE: drammatico

DURATA: 98′

USCITA IN SALA: N/A

VOTO: 2,5 su 5

Cosa si è disposti a fare per riavere ciò che c’è stato tolto? Quale punto più profondo si può toccare e quale compromesso si può affrontare per ritornare a galla, pur sapendo che la realtà delle cose è chiaramente alterata, fasulla e menzognera? Sono queste le domande che non fanno dormire la notte, martellando in testa un copione che continua ad essere una copia della copia, offuscando il resto in attesa che arrivi quella risposta tanto agognata, sperata e implorata, pronta a sbattere in faccia la realtà, qualunque essa sia, pericolosa o lieve che sia. La verità prima di tutto, anche se è tagliente come una lama affilata.

Nelly (Nina Hoss), infatti, cerca proprio la verità non appena torna a Berlino alla fine della Seconda Guerra Mondiale, dopo essere sopravvissuta al campo di concentramento di Auschwitz. Nelly però è sfigurata e, in seguito ad un intervento chirurgico atto ad eliminare le ferite in volto, cambia totalmente aspetto. Ignorando i consigli dell’amica Lene (Nina Kunzendorf) la donna si mette alla ricerca di suo marito Johnny (Ronald Zehrfeld), convinto della morte della moglie. Infatti l’uomo è intenzionato ad accaparrarsi l’eredità di Nelly e, una volta incontrata, notando la somiglianza con sua moglie, le propone un piano per ottenere il bramato compenso. Nelly accetta, interpretando se stessa, in balia totale dell’uomo.

Christian Petzold dopo l’applauditissimo La Scelta di Barbara continua a focalizzarsi sugli aspetti dell’anima umana con Phoenix, una pellicola che gioca sul doppio, sul ruolo che si può avere nella vita di un’altra persona e sull’importanza della verità, anche quella pericolosa e nascosta. Il film che ha come sfondo il terribile dopoguerra tedesco gioca sulle seconde possibilità che la vita concede e che spesso e volentieri non sono mai come quelle sperate.
L’opera, dall’impianto linguistico esemplare, alterna i ruoli di una donna sperduta in un mondo distrutto alla sua voglia di rinascita, spinta all’eccesso e contro un’evidenza chiara e limpida. La pellicola con un finale ricco di dettagli e un’ossatura comunque spessa si perde nell’ombra dell’eccessiva finzione che può avere una sceneggiatura del genere, drammatica e, per quanto la cinematografia possa permettere, veritiera, soffrendo di eccessiva fiction e perdendo, di conseguenza, la realtà tanto cercata.

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