Janis: recensione film

UNSPECIFIED - CIRCA 1970: Photo of Janis Joplin Photo by Michael Ochs Archives/Getty Images

TOCCANTE E MALINCONICO RITRATTO DELLA CANTANTE JANIS JOPLIN

Janis JoplinGENERE: documentario

DURATA: 107 minuti

USCITA IN SALA: 8 ottobre 2015

VOTO: 3 su 5

Dopo una gestazione di circa otto anni e a 45 dalla scomparsa, la regista Amy Berg porta sul grande schermo la storia di una delle cantanti che hanno segnato gli anni Sessanta e che ancora rende ben visibile il segno del suo passaggio. Janis (Janis – Little Girl Blue), presentato in anteprima mondiale e fuori concorso alla 72esima Mostra del Cinema di Venezia, è un documentario ricco e completo sulla vita di Janis Joplin, una di quegli artisti che, oltre ad essere ricordati per aver lasciato un segno indelebile con la loro musica, lo sono anche per non aver superato i 27 anni (fra loro anche Kurt Cobain e Amy Winehouse, ai quali sono stati dedicati due docufilm proprio quest’anno), coincidenza che ancora oggi alimenta la leggenda del così detto “27 club”.

La Berg ha per anni raccolto notizie, per organizzare infine il lavoro seguendo le consuete regole del documentario musicale, vale a dire ricostruendo la vita della cantante dai suoi primi anni fino alla morte e attingendo al materiale d’archivio composto di foto e filmati di repertorio, tra i quali non mancano quelli delle performance al Monterey Pop Festival o a Woodstock, il tutto cadenzato da interviste fatte a personaggi che hanno intrecciato la proprio vita con quella di Janis. Tra loro la sorella e il fratello, come anche i componenti della Big Brother and the Holding Company e alcuni dei suoi amori, che raccontano aneddoti e ricordi tra lacrime e sorrisi.

Il filo conduttore del racconto sono le lettere inviate alla sua famiglia e ai suoi amici, rilette per l’occasione dalla cantautrice Cat Power: lettere scritte di proprio pugno che testimoniano le tappe, le decisioni, gli eventi più importanti, nel bene e nel male, della sua vita da un punto di vista totalmente intimo e personale della donna che era.

Il film scorre liscio e riesce a farci entrare nel mood degli anni sessanta fino a provare una profonda empatia con la cantante. È impossibile non rimanere colpiti da ciò che ci viene raccontato, gioie e dolori, dipendenze e successi di un’icona come Janis Joplin. Dalle prese in giro e quel senso di esclusione che l’hanno segnata fin da adolescente fino alla fuga lontano da quella città texana che l’aveva ferita; poi la dipendenza da droga e alcol con cui cercava di colmare quel solo grande bisogno di sentirsi accettata e amata, la necessità di quell’approvazione e di quel conforto che sentiva di ottenere solo esibendosi e cantando, ma che non sapeva come trovare fuori dal palco. E rattrista venire a conoscenza della beffa finale, di quella mancata consegna di un semplice telegramma che da tempo aspettava e che l’overdose non le ha dato il tempo di leggere.

Se dovessimo pensare ai difetti di questo documentario sarebbero ben pochi. La presenza di grandi pezzi della sua discografia, come Little Girl Blue e il successo inconstrastato Me and Bobby McGee, oppure ancora Piece of my heart, sono fondamentali, e solo a tratti sovrastatati dalla didascalicità del film, che purtroppo poco approfondisce la capacità di scrittura dei suoi stessi testi. E se la storia della Joplin ha una grande potenza di per sé così come l’aveva la sua voce, e se Janis non scade mai nello scontato, forse si sarebbe potuto osare di più allontanandosi dalla convenzionalità di questi lavori, come successo invece con successo per Cobain: Montage of Heck.

Ma Janis c’è, e lo spettatore riesce a sentirla. Questo è l’importante.

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