Un monstruo de mil cabezas: recensione film

VENEZIA 72, L’URUGUAYANO RODRIGO PLÀ INAUGURA “ORIZZONTI”

Un monstruo de mil cabezasGENERE: drammatico
DURATA: 75 minuti
VOTO: 3 su 5

Per la sezione “Orizzonti”, la 72esima Mostra del Cinema di Venezia sceglie di esordire con Un monstruo de mil cabezas, quarto lungometraggio dell’uruguayano Rodrigo Plà. Il regista era già stato al Lido portando La Zona, opera prima che la critica aveva accolto come un ottimo biglietto da visita. E il lavoro presentato quest’anno non ha deluso le aspettative.

Sonia Bonet è una donna messicana il cui marito sta pian piano morendo di cancro. Sonia è convinta, dopo essersi consultata con il suo oncologo, che rivedere la terapia stabilita possa facilitare la guarigione per il consorte. Ma qualcosa da parte della loro compagnia assicurativa glielo impedisce. La donna però non si arrende, dimostrando di essere pronta a tutto pur di ottenere ciò che vuole e salvare così la vita del marito.

Un monstruo de miil cabezas, tratto dall’omonimo romanzo di Laura Santullo, è un film che mostra, nell’arco di una sola giornata, il coraggio che una persona sa tirar fuori quando messa alle strette e obbligata da fattori esterni a prendere decisioni che normalmente non considererebbe neppure. Ma spesso, come ricorda “il mostro dalle mille teste” del titolo, una nostra azione può portare a una conseguenza inattesa, e a questa ne può seguire un’altra, e poi un’altra ancora. Il succedersi inarrestabile degli eventi assume così delle proporzioni gigantesche, molto più grandi dell’individuo che deve affrontarle.

Plà ha la capacità di narrare una storia di disperazione senza esercitare nessuna pressione volta a scatenare il pianto o l’ira da parte dello spettatore, e questo nonostante emerga sul finale un minimo parteggiamento nei confronti della donna. Anche se con piccoli flashback e con la presenza di voci over che pongono l’accento sulla versione degli altri personaggi, la macchina da presa segue infatti con partecipazione il movimento discendente della sua protagonista, che cammina imperterrita e a testa alta verso il fondo di un imbuto dove sa benissimo che andrà a finire ma senza per questo voler modificare il suo percorso.

Come già per La Demora – il suo precedente lavoro – Plà sceglie di soffermarsi sul grottesco della società scaturito da quotidiane contraddizioni come quelle presenti nel rapporto “impossibile” tra burocrazia e umanità. Un film opprimente per il senso di inevitabilità che lo permane ma allo stesso tempo ben ritmato, strutturato in modo tale da riuscire a concedere, nonostante il buio che mano a mano avanza, dei paradossali sorrisi.

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"Mi piace l'odore del napalm al mattino".