Experimenter: recensione film

LA STORIA DI UN ESPERIMENTO FATTO PER CAPIRE CHI SIAMO

Experimenter LocandinaGENERE: biografico

DURATA: 108 minuti

VOTO: 3 su 5

Stanley Milgram è un docente universitario di Yale che sta portando avanti un esperimento su come le persone seguano gli ordini nonostante questi provochino dolore ad altri uomini. Nello specifico, si avvale di due volontari, che interpretano uno il ruolo dell’insegnante e l’altro dell’allievo: il primo pone al secondo delle domande, e se questo risponde in modo sbagliato viene punito con una carica elettrica di intensità sempre maggiore. Uno studio dettato dalla necessità di trovare risposte nel comportamento umana, e in certo senso, capire perché furono uccise così tante persone durante la Seconda Guerra Mondiale per obbedire agli ordini di un singolo individuo.

La storia vera dello psicologo americano che il regista Michael Almereyda porta sul grande schermo in Experimenter, presentato alla decima Festa del Cinema di Roma, affronta un tema rilevante davanti cui lo spettatore non può rimanere impassibile, ma anzi assiste agli esperimenti come se egli stesso fosse presente in quella stanza, con grande attenzione e interesse. Allo stesso modo il film riesce a scuotere le coscienze di chi assiste, come gli studi dell’epoca scossero quelle di chi lesse i risultati delle ricerche.

Molti infatti si opposero agli esperimenti di Milgram perché portavano persone ad infliggere dolore con l’inganno, persuase dallo sperimentatore presente in sala, e poi per questo sentirsi in colpa. In realtà nessuno era realmente collegato alla macchina dell’elettroshock, in quanto l’allievo era un componente del team di studio.

L’unico dettaglio importante che era necessario cogliere risiedeva nei comportamenti dell’insegnante e su come egli reagiva punendo l’allievo. Perché quasi nessuno smetteva? Perché sapendo di far del male a qualcuno continuavano ad andare avanti con le scariche elettriche? Se avessero saputo che nessuno era collegato alla macchina i dati sarebbero stati alterati e lo studio compromesso, anzi reso nullo. La difficoltà maggiore all’epoca fu accettare come lo studio dimostrasse quanto l’uomo è debole di fronte ai comandi altrui, realtà, questa, che spaventa ancora oggi.

Il film è tecnicamente molto interessante, fin dalle scelte legate allo stile narrativo: è il protagonista che, seppur morto, racconta la propria storia, talvolta estraniandosi dalla vicenda e rivolgendosi direttamente allo spettatore.

Anche la scenografia è interessante, giocando sull’alternarsi di luoghi reali ad altri palesemente finti, come i fondali in bianco e nero bidimensionali posti alle spalle dei personaggi, o ad elementi totalmente estranei ai luoghi che fanno capolino in alcune scene, come l’elefante che passeggia tra i corridoi dell’università. Tutti elementi che mettono in luce la sottile linea di demarcazione tra realtà e finzione, anzi, ricostruzione. Altro punto a favore è la recitazione di Peter Sarsgaard, che interpreta il protagonista con gelida calma e lucidità.

Eppure qualcosa non va nel ritmo narrativo che appare un pochino lento e nel ripetersi delle azioni, che dopo un po’ annoiano. E anche gli altri personaggi alla fine si rivelano essere solo delle figure di contorno a quella principale, poco approfondite e analizzate. Un peccato, soprattutto per la brava Winona Rider che sembra emergere poco nel suo ruolo (Sasha, moglie di Milgram). Ma Experimenter rimane un’interessante lezione socio-psicologica che non mancherà di far porre diverse domande allo spettatore, ed è un film che ha contribuito ad alzare il valore qualitativo della Festa del Cinema appena conclusa.

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