Warcraft L’Inizio: recensione

LE ORIGINI DEL NUOVO FRANCHISING NON BRILLANO, MA SODDISFANO

warcraft locandinaGENERE: fantasy

DURATA: 2 ore e 3 minuti

USCITA IN SALA: 1 Giugno 2016

VOTO: 3 su 5

Warcraft L’Inizio è l’adattamento cinematografico di Warcraft: Orcs & Humans, primo capitolo della saga datato 1994. Il pacifico regno di Azeroth è sul piede di guerra e la sua civiltà è costretta ad affrontare una terribile stirpe di invasori: i guerrieri Orchi in fuga dalla loro terra agonizzante e pronti a colonizzarne un’altra. Quando il portale che collega i due mondi si apre, un esercito va incontro alla distruzione, mentre l’altro rischia l’estinzione. Da fronti opposti, due eroi affronteranno un conflitto che deciderà il destino delle loro famiglie, dei loro popoli e della loro terra. Così ha inizio una saga di potere e sacrificio, durante la quale la guerra avrà molte facce, ed ognuno combatterà per la propria causa.

I film tratti dai videogiochi non hanno mai goduto di grande fortuna. Perfino il caso più remunerativo, quello di Tomb Raider con la diva Angelina Jolie, è ricordato più per la sua bassa qualità che altro, senza scomodare i capolavori del “trash” firmati dal bersagliato Uwe Boll. Aspettando l’Assasin’s Creed con Michael Fassbender, Warcraft L’Inizio ha subito rappresentato il faro della speranza per tanti fan del “gaming”. Ci son voluti anni affinché la Blizzard Entertainment concretizzasse il progetto, che in molti hanno letto come la volontà di fare tutto al meglio. In lizza per dirigerlo è stato a lungo un maestro del calibro di Sam Raimi, che ha poi “ceduto” l’onere a Duncan Jones, figlio di David Bowie, “quello” di Moon e Source Code, altro nome che ha comunque contribuito ad alzare l’aspettativa, anche in un genere così controverso e che in passato ha tanto abituato a partire scoraggiati. Eppure il mondo dei videogame in USA è talmente popolare e avanzato da catturare l’interesse dei più celebri e importanti filmaker. Ce l’avranno fatta stavolta a concedergli la giusta dignità, allora?

Diciamolo subito, il film di Warcraft non poteva arrivare in un periodo migliore, sia a livello di marketing sia a livello di momento cinematografico L’“era nerd” sta infatti monopolizzando l’industria hollywoodiana, inoltre siamo nello stesso anno in cui è stato chiesto a milioni di spettatori (fan storici o dell’ultim’ora che siano, per il mercato non ha importanza, anzi) di scegliere tra “Team Cap” e “Team Iron Man”, tra Batman e Superman, perché non aggiungerci allora i due schieramenti Orchi e Alleanza? La prima vittoria, sul piano commerciale, dell’opera di Duncan Jones è questa, dimostrando di sapersi adeguare alla realtà contemporanea, come si può evincere da tanti altri aspetti della pellicola.

Non ci troviamo più nell’epoca in cui Peter Jackson e la magnificenza del suo Signore degli Anelli educava un pubblico, storicamente poco propenso al fantasy sul grande schermo, a comprendere e ad ammirare le potenzialità, narrative e visive, di quell’affascinante mondo. No, qui non c’è bisogno di spiegar nulla e sta qui l’altra grande intuizione di Jones e del suo team creativo. Fin dall’inizio si va subito dritti al nocciolo della questione, ben consci di poter catapultare un pubblico smaliziato, che grazie a Internet può già arrivare in sala informato, al centro dell’azione. Assistiamo così a una sequela di nomi e di suggestive ambientazioni, che richiedono al fruitore di lasciarsi immediatamente coinvolgere dalla trama, senza dargli tempo di prendere familiarità col prodotto, semplicemente perché non è più necessario.

Ne escono bene anche gli attori, che si ritrovano ad impersonare personaggi dal background praticamente già scritto e conosciuto, quindi sì senza particolari enigmi ma infondendo il giusto e personale grado di interpretazione quando richiesto, risultando più che credibili. Tutto questo è permesso dal linguaggio adottato dal regista e dagli autori, come detto, che abilmente spaziano dal drammatico al comico, senza mai risultare fuori luogo. Un altro segno di adeguamento, allora, come lo è quello della sapiente CGI, che, piuttosto ironicamente vista la principale fonte, non ricorda un videogioco, come invece è accaduto per il già citato Jackson e il suo Lo Hobbit, che al contrario ha espresso di non aver molto compreso l’avanzare dei tempi.

Lezione ben carpita anche in fase di sceneggiatura (firmata sempre da Jones e da Charles Leavitt) dimostrando di saperci altrettanto fare, specialmente nella parte finale, probabilmente la migliore, proprio perché in qualche modo non si limita al facile compitino in salsa epica, col bene che trionfa eroicamente sul male (anche perché i confini morali non sono così assoluti, come vuole, ancora una volta, il generale approccio post-moderno), ma cerca di delineare una intelligente e per nulla scontata evoluzione degli eventi e dei personaggi (vedi il Medivh interpretato da Ben Forster, che poteva ricordare troppo, altrimenti, un particolare stregone del Signore degli Anelli, per esempio). La musica composta da Ramin Djawadi (Game of Thrones, Person of Interest) contribuisce a spingere ulteriormente, ed efficacemente, sul lato emotivo.

Certo, aspetti negativi non mancano. La parte iniziale può, in un’ottica più pragmatica, confondere e quindi allontanare lo spettatore. Stessa cosa dicasi, soprattutto, per la sezione centrale del film che sembra perdere più di una volta chiarezza nella direzione degli eventi, con un montaggio non troppo all’altezza, spesso quasi slegato dalla successione lineare tra una scena e l’altra, dando l’impressione di non saper bene dove soffermarsi. Quasi all’opposto, inoltre, non aiuta invece la scelta cromatica della messa in scena di Jones riguardante la magia, che sceglie di adottare un dualismo tra verde e blu fin troppo accesso e fin troppo didascalico, risultando in questo caso eccessivamente semplicistico. Per la serie, va bene facilitare l’immedesimazione, ma non esageriamo.

In conclusione, Warcraft L’inizio  non è privo di difetti, anzi, ma riesce a soddisfare per il suo tentativo di dare dignità, per una volta, alla creatività del mondo dei videogame e ai suoi visionari programmatori; per la sua intelligente comprensione della realtà odierna, ora nell’adottare più toni, ora nel rendere grigi confini morali tradizionali;  e soprattutto, in chiave futura, per il suo rappresentare in fondo un film “delle origini”, come suggerito dal sottotitolo, per avviare un nuovo franchising, portandosi dietro tutte le attenuanti del caso. Scelta commerciale? Sì, ma perseguita con un certo stile, quantomeno.

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