Free State of Jones: recensione

FREE STATE OF JONES RACCONTA LA VITA DI UN UOMO POCO CONOSCIUTO PER FARE LUCE SU UNA COMUNITÀ CHE DA SOLA E QUASI SENZA ARMI È RIUSCITA A FARSI VALERE CONTRO L’OPPRESSIONE DEI POTERI FORTI

Free State of Jones

GENERE: storico. drammatico

DURATA: 139 minuti

USCITA IN SALA: 1 dicembre 2016

VOTO: 3 su 5

Newt Knight è uno dei tanti civili, contadino del Mississipi impiegato come infermiere, chiamati a combattere nella Guerra Civile Americana. Davanti alla morte del giovane nipote, l’ennesima ingiustizia di una guerra che interessa solo ai ricchi,  Newt decide di disertare per riportare alla madre il cadavere del giovane e dargli degna sepoltura. Ma si trova di fronte ad altre ingiustizie: il popolo è infatti privato di cibo e coperte affinché questi beni siano destinati all’esercito. L’uomo decide allora di schierarsi dalla parte della popolazione e combattere, circondandosi di altre persone, indistintamente bianchi o neri, disposte ad opporsi ai militari. La contea Jones del Mississippi diventa allora Stato Libero di Jones, con un nutrito numero di abitanti pronto a combattere per sé e non per gli altri.

Sono tanti i temi affrontati dal regista Gary Ross in Free State of Jones, e non si limitano alla semplice narrazione della guerra, come più volte presentato al cinema: partendo dalla storia vera di Newt Knight, personaggio per lo più sconosciuto ai non americani, si affrontano pian piano tutti i risvolti a cui ciò ha portato, in primis la costituzione di questo Stato, nato dalla volontà di un gruppo di persone di non sottostare all’arroganza del potere militare e dei grandi proprietari terrieri. Si passa naturalmente alla liberazione delle persone di colore dalla loro condizione di schiavitù, mostrandone comunque quelle che sono state le problematiche, le limitazioni e i raggiri per non renderle mai realmente libere, costrette ancora per anni a sottostare a subire e a morire, anche per mano del Ku Klux Klan.

Inoltre si affronta il tema dei matrimoni misti, non solo mostrando quello tra Newt e la bracciante Rachel, ma anche, attraverso dei flash forward, quello del suo discendente Davis Knight, imputato in un processo del 1948 per essere per un ottavo nero e sposato con una bianca. Insomma, ci sono tanti ingredienti che bollono in pentola, uniti dallo stesso filo conduttore, vale a dire la figura di Newt, che permette di non perdere mai di vista la storia nonostante sia ricca e a tratti possa sembrare dispersiva.

Free State of Jones inizia con scene che non lasciano nulla all’immaginazione, con scontri armati, cadaveri squarciati e feriti in fin di vita. E anche se con il passare dei minuti tutto ciò si appiana e la guerra sparisce, non se ne va la violenza, che passa dall’essere raramente visiva a più spesso psicologica, rendendo lo spettatore partecipe del dolore, della disperazione e della rabbia provata dai personaggi. Non passano inosservate per esempio le armi messe in mano ai giovani e alle bambine, che sembrano aver scritta sul proprio volto la rassegnazione di chi non ha più nulla da perdere e in più la determinazione di chi si mette in gioco fino alla fine, a tutti i costi.

Il film racconta il coraggio e la furbizia di un gruppo di uomini e donne con base nelle paludi, che sono riusciti a mandare in scacco un esercito ben più numeroso grazie alla guida di Knight, un leader mai stanco e sempre motivato, che trova nei tratti e nella recitazione toccante di Matthew McConaughey il perfetto interprete. Free state of Jones cavalca l’onda di uno dei temi più battuti di sempre, e che soprattutto ha incassato milioni e premi, e mostra come sia sempre la mossa giusta puntare su un’individualità (seppur poco conosciuta) per mostrare una vicenda più largamente rappresentativa. È successo con il film recentemente presentato alla Festa del cinema di Roma The birth of a nation, che indaga la vita di un predicare di colore, anch’egli a capo di una rivolta per ottenere la libertà.

Ora la storia di Newt Knight, oltre a raccontare questa pagina del passato, arriva anche in un momento storico di cui sembra quasi essere stata profeta, cioè all’indomani della vittoria di Trump. Perché una ventina di uomini di colore che ieri hanno lottato per far valere il loro diritto a votare repubblicano per andare contro il potere dominante, ricorda quegli emarginati che oggi hanno trovato nelle parole dell’imprenditore americano l’appoggio che da tempo cercavano, nonostante le sue idee xenofobe e sessiste mai nascoste, e sostenute anche da quello stesso Ku Klux Klan che vediamo nel film e che, ahimè, ancora esiste.

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