Dogman: recensione

IL RITORNO DI MATTEO GARRONE, POTENTE, SORPRENDENTE E VINCENTE, NON SOLO A CANNES

DogmanGENERE: drammatico

DURATA: 102 minuti

USCITA IN SALA: 17 maggio

VOTO: 4,5 su 5

In una periferia sospesa tra metropoli e natura selvaggia, dove l’unica legge sembra essere quella del più forte, Marcello è un uomo piccolo e mite che divide le sue giornate tra il lavoro nel suo modesto salone di toelettatura per cani, l’amore per la figlia Alida, e un ambiguo rapporto di sudditanza con Simoncino, un ex pugile che terrorizza l’intero quartiere. Dopo l’ennesima sopraffazione, deciso a riaffermare la propria dignità, Marcello immaginerà una vendetta dall’esito inaspettato.

A tre anni di distanza da Il Racconto dei Racconti, film dal cast e dalla produzione internazionale, Matteo Garrone ritorna a narrare storie più “piccole”, con interpreti dai nomi meno altisonanti, con un’ambientazione, almeno all’apparenza, più aderente al reale, meno “fantastica” perlomeno. Una scelta, come si comprende a fine visione, decisamente felice. Garrone torna a far respirare le atmosfere dei suoi lavori più riusciti, ai Reality e ai Gomorra che colpivano violentemente e direttamente allo stomaco degli spettatori. Con Dogman, insomma, l’autore romano torna a far vivere al pubblico una vera “esperienza” in sala, di quelle che in qualche modo ti cambiano una volta vissute, o che comunque difficilmente potranno essere dimenticate.

Elemento chiave e allo stesso tempo simbolo dell’operazione è sicuramente Marcello Fonte, proprio quel nome poco conosciuto alla massa, ma trionfatore a Cannes come Miglior Attore. È decisamente lui l’indiscussa anima della pellicola, nonché il più emblematico volto della pellicola, è d’altronde lui, letteralmente, il Dogman. Non a caso “Marcello” è anche il nome del protagonista nella storia, a sottolineare come Garrone abbia presumibilmente disegnato il personaggio sulle fattezze e sulla recitazione dell’attore calabrese. I connotati gentili, ingenui, “animaleschi” e allo stesso tempo fortemente “umani” di Fonte giganteggiano in tutte le scene, portando lo spettatore a una potentissima immedesimazione; trascinano con decisione la narrazione di Garrone, dominata dalla dicotomia uomo/animale, appunto, dai confini via via sempre più flebili, fino a quando persona e bestia diventeranno una cosa sola.

Marcello (personaggio), infatti, non è assolutamente perfetto. Arrotonda il suo lavoro come “dogman” facendo da corriere, per gli amici del quartiere, nel traffico di cocaina della zona, arrivando addirittura a farlo di fronte alla propria figlia. Se nei confronti dei numerosi cani che affollano il suo ricovero riserva professionali attenzioni e amore incondizionato, allora, non si può dire faccia altrettanto verso se stesso. A rovinargli la vita, inevitabilmente, sarà proprio l’animale “antropomorfo” perfettamente incarnato da un altrettanto straordinario Edoardo Pesce, il cane rabbioso che in tutti i modi cercherà di gestire, di curare e infine di ingabbiare. L’errore tutto “umano” di Fonte è proprio il pensare di avere con lui un rapporto unico ed esclusivo, di capirlo, a differenza di tutto il mondo circostante, proprio come gli succede col proprio cane, il suo miglior amico altrettanto irrequieto e indisciplinato, come da sottile e magistrale similitudine costruita da Garrone.

Si consuma in questa continua e affascinante contrapposizione la storia del regista romano e dei suoi collaboratori alla sceneggiatura, Massimo Gaudioso Ugo Chiti. Una storia dai caratteri decisamente  universali, a discapito di quanto vogliano far credere le varie inflessioni provinciali dei protagonisti. L’imprecisata ambientazione di “una periferia sospesa tra metropoli e natura selvaggia”, suggestiva quanto malinconica, idilliaca quanto macabra e triste, è solo l’ennesima intrusione del “fantastico” nel cinema di Garrone, come si diceva in principio. Ma se ne Il Racconto dei Racconti l’ambientazione fiabesca finiva col prendere il sopravvento su storia e personaggi, in questo caso, come accadeva già in Reality, sono i secondi a farla da padrone, inquadrati in tutta la loro distruttiva potenza dall’occhio spietato del regista.  Non è allora un caso che il prossimo lavoro che attende Garrone sarà proprio Pinocchio: se l’equilibrio tra fiaba e reale sarà minimamente paragonabile a quello visto in Dogman, non si può che restare in trepidante attesa.

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