Peppermint: recensione

PEPPERMINT, L’ULTIMO EREDE DEI GIUSTIZIERI È DONNA E LA VENDETTA ASSUME UN SIGNIFICATO TUTTO NUOVO CON JENNIFER GARNER

peppermint locandinaLa criminalità organizzata strappa alla giovane madre Riley North (Jennifer Garner) quanto ha di più caro, un marito devoto e la piccola figlia di soli dieci anni. Il sistema giudiziario non le rende la giustizia dovuta, così grazie ad alcuni cavilli legali gli assassini la fanno franca. Ma Riley, distrutta nel corpo e nello spirito, si imbarca in una crociata personale fatta di anni di training e con un solo obiettivo, infliggere punizione e castigo.

Sarebbe facile liquidare Peppermint come la versione al femminile di Taken, dopotutto si tratta di una donna che cerca e trova la sua vendetta. Peppermint è un film d’azione che non lascia spazio a compromessi, che, nonostante segua senza sorprese le regole del genere, tiene costantemente con il fiato sospeso. Questo è grazie al cuore che pulsa all’interno del film, ovvero il sentimento di una madre che in un colpo solo si vede portar via tutto ciò che aveva di importante nella vita. Mai sottovalutare la forza di una madre al quale è stato inflitto il dolore più grande. Anche la donna più debole sarà in grado di aggrapparsi con i denti al senso di giustizia che le viene negato.

Di giustizieri nel cinema ce ne stati tanti, da Charles Bronson al più recente John Wick di Keanu Reeves e, per quanto sfidino la morale collettiva, sono sempre film appaganti, sono film che fanno leva su un sentimento viscerale, primordiale, che accumuna tutti, anche chi preferisce negarlo. Il regista David Fincher ne aveva fatto una lezione precisa col suo Seven; quando si viene toccati nel profondo, su quello che si ama, salta qualsiasi raziocinio.

A rendere credibile l’intera operazione è il livello di impegno di Jennifer Garner, la quale, potendo far leva sul suo passato nella serie televisiva Alias, si butta a capofitto nelle sequenze d’azione e conferisce lo spessore necessario al personaggio per far trasparire il dolore interiore; il che aiuta a soprassedere su alcuni buchi di sceneggiatura. Un film di questo tipo aiuta a liberare la frustrazione verso le ingiustizie quotidiane e all’uscita non può che lasciare soddisfatti, anche quando di paladini della giustizia al cinema in passato ce ne sono stati parecchi.

 

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