Vox Lux: recensione

NATALIE PORTMAN INTERPRETA LA POPSTAR CELESTE IN VOX LUX DI BRADY CORBET, PRESENTATO IN CONCORSO AL FESTIVAL DI VENEZIA

vox luxGENERE: drammatico, musical

DURATA: 110 minuti

USCITA AL CINEMA: N/D

VOTO: 3/5

Nel 2015 Brady Corbet aveva presentato nella sezione Orizzonti il suo esordio alla regia, L’infanzia di un capo, ricevendo il premio Luigi De Laurentiis, mentre quest’anno lo abbiamo ritrovato in concorso al Festival di Venezia con Vox Lux.

Il film è un dramma musicale, che ripercorre l’ascesa della popstar Celeste (interpretata da una straordinaria Natalie Portman) attraverso vent’anni di storia dal 1999 al 2017.

Vox Lux si pone come un’opera divisa in due atti, preceduti da un preludio e seguiti da un epilogo, che non conclude la storia, lasciando che lo spettatore immagini da solo ciò che potrebbe accadere alla protagonista e a coloro che le ruotano attorno.

Quasi come se stessimo vedendo un documentario, la voce narrante di Willem Dafoe ci guida attraverso le varie tappe della vita di Celeste Montgomery, una ragazza nata nel 1986, che durante una sparatoria avvenuta nella sua scuola subisce una lesione a livello spinale.

In ricordo delle vittime la ragazza viene spinta a cantare una canzone ai funerali. Ben presto la sua melodia diviene un inno nazionale, un successo che le fa ottenere il suo primo contratto discografico grazie a un manager calcolatore (Jude Law).

Per Celeste è l’inizio di una nuova esistenza, quella che Eleanor (Stacy Martin) non potrà mai avere e che spingerà le due sorelle, un tempo unite, ad allontanarsi sempre di più e a sviluppare tratti opposti delle rispettive personalità.

vox lux premiere

La Celeste adulta, infatti, non possiede quasi più nulla dei tratti ingenui e innocenti dell’adolescenza, segnata nel profondo da una ferita mai rimarginata e da uno star system che sopporta a fatica, facendo uso abituale di alcol e droghe.

Un’altra anima persa, sofferente e al tempo stesso insofferente a chiunque le stia intorno, compresa la figlia avuta da adolescente (la brava Raffey Cassidy, che interpreta sia la giovane Celeste che la figlia Albetine), cresciuta dalla sorella maggiore.

“Non importa se sei Michelangelo o Micky & Angelo di New Brighton. L’importante è avere una prospettiva e tua zia Ellie non l’ha trovata”, dice Celeste durante una discussione con sua figlia.

Celeste è l’eco della società che l’ha consacrata, nata da una tragedia. Vittima e carnefice. Niente sembra toccarla, neanche un gruppo di terroristi che fa un attentato su una spiaggia in Croazia usando le maschere del suo video “Hologram”.

Tuttavia, contrariamente a quello che potremmo aspettarci, in Vox Lux sono pochi i momenti in cui sentiamo la protagonista cantare. Fino alle sequenze finali anche la musica – composta dalla cantante australiana Sia ‒ resta sullo sfondo, perché tutto ciò che può offrire al pubblico è l’intrattenimento, il “non pensare”.

“Mi piace la musica pop, perché voglio che la gente sia felice”, afferma ingenuamente Celeste in una delle scene iniziali del film.

Eppure nessuno dei personaggi portati sul grande schermo da Brady Corbet è felice, prodotti di una società che non permette al singolo di trovare la propria voce, ma solo di seguire la corrente e che schiaccia il vero talento in favore di chi sa vendere l’immagine migliore.

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