A Dangerous Method: la psicanalisi di David Cronenberg

A DANGEROUS METHOD: SCENEGGIATURA E RAPPRESENTAZIONE DI UN INCONSCIO COLLETTIVO AD OPERA DI DAVID CRONENBERG 

a dangerous methodIn “Spider” la schizofrenia di Ralph Fiennes faceva il suo ingresso in scena con l’arrivo di un treno. Quasi dieci anni dopo, Keira Knightley si ritrova imprigionata all’interno di una carrozza che viaggia spedita verso l’ospedale psichiatrico di Zurigo. E’ un lungo passo indietro quello di Cronenberg, che riesuma uno tra i principi cardine della sua intera filmografia: l’inconscio e la psicoanalisi.

Lo fa questa volta partendo dall’origine e confrontandosi con i diretti interessati.
A Dangerous Method” trasporta lo spettatore tra gli scenari della Vienna mitteleuropea, dove nei primi del Novecento andava fiorendo un periodo di affascinanti scoperte in nuovi territori della sessualità e della psiche. L’attenzione è puntata sulla controversa relazione fra il giovane psichiatra Carl Gustav Jung, il suo mentore Sigmund Freud e la bellissima paziente Sabina Spielrein, che irromperà prepotentemente nelle vite di entrambi (proprio come Claire Niveau che in “Inseparabili” irrompe nella vita dei gemelli Mantle destabilizzando le loro esistenze).

Cronenberg ritorna sul grande schermo con una pellicola “difficile” e indispensabile. Difficile perché è compito quanto mai complesso quello di scavare sino alle radici di una teoria che ha tra i suoi obiettivi lo studio dell’inconscio umano. Indispensabile perché per il maestro del body horror, che in quarant’anni di carriera ha sempre cercato il connubio perfetto tra la carne, il corpo, il sesso e la morte attraverso le mutazioni fisiche, è giunto il momento di approdare a una mutazione “mentale” figlia del nostro animo umano. Percorso che Cronenberg aveva già cominciato a intraprendere sin dai suoi ultimi tre film, privati da contesti prettamente orrorifici e mostruosi, ma abili nel rappresentare il tessuto sociale attuale (pazzia, violenza, criminalità).

Quel che ne esce è un raffinato ed elegante film di costume (sontuosa la fotografia) e al tempo stesso un’indagine mai doma sulle menti dei protagonisti, evidenziata dal continuo rimando epistolare tra Freud e Jung.

Keira knighleyAnche lo spettatore, al pari di Sabina, subisce in qualche modo il transfert che deriva dal cinema di Cronenberg. Tutti gli elementi elevati all’ennesima potenza dal regista canadese nel corso degli anni sembrano apparentemente annullarsi in questa pellicola, per poi riemergere invece nel profondo della psiche e con maggior spasmo (gli atti sessuali di stampo masochistico, la macchina da presa che sembra non staccare mai sulla coperta sporca di sangue, il bellissimo finale). E che la “trasformazione” del regista sia in continua evoluzione lo dimostra il fatto che “A Dangerous Method” si pone essenzialmente come un mèlo a tutti gli effetti, una tormentata storia d’amore tra una donna e un uomo che non può ricambiare il nobile sentimento (creando così in qualche modo una situazione inversamente proporzionale a quanto visto in “Mr. Butterfly).

Il melodramma cronenberghiano in modo pressoché impercettibile avvia la sua mutazione, ma questa volta non a livello fisico (“La mosca”) quanto a un livello mentale, interiore. Lo spettatore, col trascorrere del tempo, viene avviluppato in un vortice di riflessioni anguste e pensieri immorali. Cronenberg lo denuda di fronte allo specchio (lo stesso in cui Sabina ha bisogno di vedersi mentre viene punita), lo interroga sulla nostra effettiva natura sessuale, sui nostri impulsi più profondi che trascendono ogni tipo di inibizione e culminano nella parafilia, sui nostri desideri che degenerano in depravazioni desadiane inconfessabili.

Il messaggio trasmesso da Cronenberg è racchiuso in una semplice domanda che Jung (un composto Michael Fassbender) pone a sé medesimo e al collega Freud: “Perché tanti affannosi sforzi per soffocare i nostri più elementari istinti naturali?”. Interrogativo spiazzante che il regista contribuisce ad alimentare con l’entrata in scena di Otto Gross (Vincent Cassel), paziente perverso e dissoluto, determinato a varcare i confini della morale comune (“Mai reprimere nulla”). In questa esplorazione della sensualità e della sessualità, Cronenberg affronta l’argomento proprio attraverso gli occhi di coloro che direttamente porranno le basi per gli studi futuri sulla psicoanalisi e che cambieranno per sempre il corso del pensiero moderno.

admLa densa e corposa sceneggiatura è di Christopher Hampton che ha tradotto per il grande schermo un suo precedente lavoro teatrale, a sua volta basato sul libro di John Kerr, “Un metodo molto pericoloso” (1993). Hampton è bravissimo a destreggiarsi tra le “tonnellate di lettere spedite tra Jung e Freud” (come ha dichiarato lo stesso regista in conferenza stampa) e conferma l’ottimo lavoro ottenuto con il capolavoro di Stephen Frears “Dangerous Liaisons”, pellicola che ha molti punti in comune con questa, a cominciare dalla “pericolosità” del titolo sino al tema sessuale e libertino, passando per l’uso predominante del carattere epistolare. Nel cast, sicuramente da rivedere la pazzia ostentata dalla Knightley, che sembra far del tutto per enfatizzare la parte, tra smorfie palesemente forzate e tic continui.

Co-prodotto in tre paesi diversi e presentato alla 68 Mostra di Venezia, il film ha ricevuto un discreto successo, sebbene la maggior parte della critica non abbia riconosciuto nel film le tipiche atmosfere del regista di Toronto. Ma, come abbiamo visto, Cronenberg c’è, e così come Jung, lavora sull’archetipo e sull’inconscio collettivo dello spettatore, realizzando un film asciutto e quanto mai crudo, come solo lui è in grado di realizzare.