La Belva: un inedito Fabrizio Gifuni

DIRETTO DA LUDOVICO DI MARTINO E CON UN SORPRENDENTE FABRIZIO GIFUNI, “LA BELVA” È UN FILM NETFLIX IN CUI È STATO COINVOLTO L’ILLUSTRATORE MARTOZ

Il lavoro del cinema è quello di prendere immagini, volti e luoghi comuni che pensiamo di conoscere e ribaltarli, usarli per creare tutt’altro, sorprendere a partire da ciò che vediamo. In buona sostanza: vedere nelle solite cose, qualcosa di diverso. Questo è La belva, qualcosa di diverso a partire da qualcosa di noto. Un film con una trama molto classica americana (lui, militare con crisi da stress post traumatico mai davvero reinserito nella società; l’antagonista gli rapisce la figlia; da lì il delirio), che prende un attore italiano noto per il cinema drammatico, abbonato a ruoli distinti e mette in scena un racconto di marginalità, disperazione e violenza impeccabile. Applausi.

Il fumetto di Martoz ispirato al film "La belva" - Fumettologica
Ovviamente il merito è tutto da condividere con Fabrizio Gifuni stesso, in scena praticamente per il 90% del film con pochissime linee di dialogo, tante facce da fare (di cui nemmeno una sbagliata) e una buona dose di violenza da sfogare così come da incassare. Per una volta un attore che conosciamo per i ruoli parlati recita davvero quasi solo con il corpo. Non è solo truccato e parruccato in modi diversi e non solo compie una parte importante degli stunt da sé (e bene!) ma è sempre credibile come relitto di una guerra, dimenticato dalla società, stordito da benzodiazepine e quasi contento di poter tornare nell’inferno che in qualche modo avverte come sua vera dimora per riprendersi la figlia. Anche quando si dimette da solo dall’ospedale con una pistola, a torso nudo, ha il fisico asciutto, nervoso e cattivo che serve. Anche quando sta zitto sembra avere solo brutti pensieri.

Ha un look austero e trasandato: testa rasata, barba brizzolata lunga e incolta, un pesante giubbotto verde con la stampa di un orso inferocito sulle spalle; forse è per questo che viene soprannominato La Belva.

Inizia come il Joker di Todd Phillips – fatte le dovute distinzioni. Vediamo il personaggio interpretato da un muscolare e severo Gifuni parlare con la sua psichiatra in una sorta di ufficio stretto e asettico: vuole aumentare la dose dei farmaci “per stare calmo“. La dottoressa lo ascolta ed estrae un flaconcino arancione di pillole mentre in sottofondo, ad accompagnare la sua uscita dallo studio, parte Iron di Woodkid. L’idea dietro al secondo film del regista de Il nostro ultimo è evidentemente derivativa:

Cambiano geo-coordinate, linguaggio scenico e formale, ma la sostanza è una rivisitazione in chiave italiana di quel concept, comunque rielaborato e con una fibra cinematografica differente. La sensazione è quella di ritrovarsi davanti a un cinema di genere che nel Bel Paese difficilmente viene affrontato con tanto coraggio, esplicito e ricercato. E non un genere qualunque ma quello d’azione, che dati i costi produttivi e la difficoltà delle riprese è spesso omologato dalle nostre parti, senza spina dorsale, con poca verve, zero divertimento. Sorretto dalla Groenlandia di Matteo Rovere e dalla Warner Bros, invece, Di Martino sforna probabilmente uno degli action movie “stivaleschi” migliori di sempre, anche se questo non vuol dire perfetto, anzi tutt’altro.