Atomic Blonde è Charlize Theron

DAVID LEITCH DONA IL CORPO DI CHARLIZE THERON ALL’ANIMA CINEMATOGRAFICA “ATOMIC BLONDE” DI ANTONY JOHNSTON

atomic blonde filmQuindi cosa ho imparato
in tutto questo tempo?
Dopo tutte le notti insonni…
Mentendo agli amici,
alle amanti, a me stesso,
giocando questo sporco gioco
in questa sporca città,
piena di gente che ti pugnala alle
spalle e che ha quattro facce…
Ecco cosa ho imparato,
una cosa sola e una soltanto.
Io la amo Berlino, cazzo
!”

Combattimenti corpo a corpo serrati, una colonna sonora mostruosa che spinge lo spettatore ad alzarsi dalla poltrona e a muoversi a ritmo di musica e una trama meravigliosamente classica da spy-story piena di tensione dal primo all’ultimo minuto. E poi c’è lei, Charlize Theron.

Se avessimo la pazienza di entrare nella testa di ogni persona vissuta negli anni ’80, scopriremmo probabilmente che di quella decade ognuno ha un ricordo molto diverso. Troveremmo cose inimmaginabili, forse addirittura l’estremo di chi non ha reminiscenze del disastro di Chernobyl o del crollo del Muro di Berlino in un pericoloso gioco d’azzardo in cui chi più nega più vince, ma un ricordo è condiviso da tutti: la musica di quegli anni. Un po’ perché la musica ha una potenza fisiologica naturale, si insinua dentro di noi come un ultracorpo, non è nemmeno necessario che la canzone in questione ci piaccia. E un po’ perché il pop di quegli anni era il risultato di un’incredibile e bellissima sperimentazione dell’elettronica in studio di registrazione, talmente folle ed entusiastica che ha prodotto suoni così tossici che è impossibile scrollarseli di dosso.

David Leitch, è uno stunt (con un curriculum così lungo che è un vero miracolo sia ancora vivo) ma è stato anche produttore e regista non accreditato di quel John Wick che appena uscito in sala è stato salutato come una piccola perla del nuovo cinema d’azione. È inevitabile quindi che Atomic Blonde venga un po’ considerato un John Wick al femminile. Ma Atomic Blonde è lei, Charlize Theron, una di quelle rarissime attrici per il cui il detto “più brava che bella” è davvero un complimento e poi beh, la colonna sonora che sostiene la regina della pellicola dimostrando non solo di esserne all’altezza ma anche di poter concorrere allo scettro.

Tratto dalla graphic novel “The Coldest City” di Antony Johnston (autore anche di un ottimo videogame come Dead Space), una spy-story di tutto rispetto. Ambientata a Berlino, in quel complicatissimo 1989 di fermento sociale in cui il Muro era a un passo dal crollare. Ora, cosa farebbe una persona sana di mente se dovesse scegliere la musica per una storia del genere? Non farebbe forse scrivere una colonna sonora ad-hoc, che si sposi perfettamente alle atmosfere di spionaggio e azione? Ma David Leitch, decide invece di fare l’impensabile: sceglie una playlist di dodici canzoni anni ’80 (quasi tutte pop e con tre cover recenti dei brani originali), con l’aggiunta di London Calling dei Clash (che non è pop ed è del 1979, ma ci vuole comunque un bel coraggio).La sensazione fortissima è che David Leitch abbia girato basandosi sulle canzoni che aveva in mente, piuttosto che viceversa.

L’entrata in scena della protagonista Lorraine, tumefatta e dedita alla vodka Stolichnaya, che si dirige negli uffici del MI6 per essere interrogata per questioni di Stato, funziona perfettamente con un pezzo come Cat People di David Bowie. E uno dei primi momenti di Lorraine in azione, quello dell’agguato della polizia nella casa di Gascoigne, riesce incredibilmente bene anche perché lei, tra le varie mosse, accende lo stereo al massimo volume su Father Figure di George Michael.

Così anche per  99 Luftballons di Nena, cantante della Germania Ovest che con questo pezzo cantato in tedesco è riuscita a scalare le hit-parade internazionali di quegli anni. “Chi ha vinto? E che c…o di gioco era?”. È il momento in cui anche noi guardiamo indietro a quei momenti pieni di energia e di speranze e dobbiamo fare inevitabilmente i conti con quello che è diventato il mondo oggi.

Si dice che Charlize Theron abbia eseguito personalmente il 90% degli stunt e che si sia rotta due denti durante le prove di combattimento. Tratta direttamente dalla graphic novel l’idea di organizzare la fuga di Spyglass durante la maestosa manifestazione in Alexander Platz, appena prima del crollo del Muro.

Straordinaria la cura per i dettagli fin dalle prime scene. L’autobus che passa a Londra con la scritta “Boichott Apartheid ’89”, le trasmissioni televisive dell’epoca, quel “David Hasselhoff è in città”, l’incontro di Lorraine e Kurzfeld di fronte al Muro ancora in piedi, sono tutti mattoncini che costruiscono un’atmosfera assolutamente viva e credibile.

Gran parte del merito va al fumetto di Johnston, anche se in fase di sceneggiatura qualche piccolo cambiamento è stato inevitabile (e sicuramente è stato quasi sempre un bene). Altro personaggio riuscitissimo quello di Percival, interpretato da un bravissimo e divertentissimo James McAvoy. Straordinari anche i comprimari, perché stiamo parlando di attori come John Goodman, Bill Skarsgård e il sempre bellissimo Eddie Marsan, che qui, con quegli occhiali e quei baffi da agente della Stasi.