Arrivederci Venezia 79

VENEZIA 79 SI È CONCLUSA, VI REGALIAMO UNA CARRELLATA DI RIFLESSIONI POST FESTIVAL A CURA DI UNA CORRISPONDENTE SUPER “INSIDER”

palazzo-del-cinemaSono passati due anni dall’ultima volta che il Festival del Cinema di Venezia pullulava di gente. Un formicaio di persone che si muove disordinatamente cercando di dare un senso al circo delle illusioni in cui si trasforma il lido nei dieci giorni del Festival.

A qualche giorno dalla chiusura del Settantanovesimo anno in cui la Settima Arte prende la nobile signora Venezia per mano e la porta sul palcoscenico internazionale cinematografico, alcune considerazioni sono d’obbligo.

Fra pranzi (ingurgitati in una manciata di minuti), aperitivi (meritatissimi) e ritardi in sala (perdersi fa parte dell’esperienza a tutto tondo che il festival ti regala), abbiamo avuto modo di ascoltare critiche, pensieri ed emozioni di chi tutto questo lo rende ancora e nonostante tutto possibile. Si, perché il red carpet è un diamante di gossip internazionale a cui tutti bramiamo, assetati come siamo di quell’ideale di cui disperatamente, almeno una volta nella vita, vorremmo far parte.

La differenza fra questo e i precedenti festival a cui abbiamo avuto l’onore di partecipare sta proprio in questo, nella gente. Le persone che tessono le trame di un evento che altrimenti, farebbe letteralmente acqua da tutte le parti. Un via vai di menti, occhi e mani che pensano, vedono e creano il cinema così come lo conosciamo e grazie a cui possiamo saltare e spintonare per vedere i nostri idoli indiscussi salutarci con disinvoltura approdando all’Excelsior come Capitan Jack Sparrow a Grenadine.

Abbiamo avuto modo di sederci a conversare con alcuni degli addetti ai lavori proprio l’ultimo giorno, quello della chiusura, quello in cui si tirano le somme di 10 giorni che spesso sembrano 10 mesi. Fra occhiaie, qualche spritz in compagnia degli altrettanto coraggiosi baristi della Campari e critici che si interrogano sul perché abbiano scelto questo mestiere, molte sono le considerazioni che hanno colpito.

Prima fra tutte, il film vincitore del Leone D’oro: All the beauty and the bloodshed di Laura Poiras. Ammetto che dopo averlo visto quel che è rimasto è un retrogusto particolare, come quando mangi qualcosa che al primo morso ti piace, ma poi ti chiedi se non ci sia un qualche ingrediente segreto “di troppo”. La reazione sarebbe di seguire la standing ovation e il concerto di applausi, certo. Ma c’è qualcosa che lo rende “amaro”.

E allora cominciamo a chiederci se e quali ingredienti del film non abbiano funzionato. Non è la trama. La pellicola tratta, appunto, tutta la bellezza e lo spargimento di sangue della vita di Nan Goldin, acclamata fotografa e attivista.
Il documentario, oltre a ricordare le sue principali opere, racconta la battaglia contro la famiglia Sackler che, con la casa farmaceutica Purdue Pharma, si è arricchita mettendo in commercio un oppioide che ha causato decine di migliaia di morti per overdose negli Stati Uniti.

Tutto perfetto sulla carta. Storia entusiasmante in un momento storico in cui le donne si stanno prendendo tutto lo spazio che meritano. Una Guerra combattuta contro quello che resta un nemico attuale, il sistema sanitario e commerciale degli Stati Uniti d’America. Tutto molto interessante. Come lo sono i dialoghi, la fotografia, gli attori. Tutto perfettamente incastrato, come un puzzle che “disgraziatamente” ti vendono già finito.

“Troppo giusto”! sbotta uno degli assistenti pubblicisti in mezzo a fantomatici scrittori e critici delusi che da spartire per ora, hanno solo uno spritz Campari.

Troppo giusto. Riflettiamo tutti qualche istante prima di ammettere che forse l’amaro retrogusto è dovuto a questo. Quando il prodotto è così perfettamente preconfezionato da toglierne ogni personalità, da fagocitarsi il carattere. Quello che gli fa alzare la voce, quello che gli permette di imporsi anche senza il politicamente corretto. Che non abbia vinto ancora una volta il “giusto”? I giornalisti con cui sediamo si animano davanti a quest’illuminazione che chiude 10 giorni deliranti.

“Ecco cos’era”! affermano. Non c’è possibilità di critica, non c’è modo di parlarne, di avere pareri discordanti con questo tipo di film. Fruisce per quel che è stato, ma perde valore nel presente in cui il compitino per casa è forse il frutto della difficoltà di andare controcorrente, oltre un deviante perbenismo che toglie ogni sfumatura per relegare lo spettatore nel magico regno dei benpensanti.

Ci è voluto poco per riportare alla luce quelle anime deluse le cui penne stavano scrivendo più per inerzia che per passione. Nel mezzo di questa ritrovata discussione, l’occhio cade su un signore seduto in spiaggia che guarda il mare.

Ci avviciniamo, spinti da una curiosità ingiustificata ma che si è rivelata vincente.

Lavori qui”?

Sono un bagnino, osservo da qui ogni movimento, sono come una camera da presa”.

Potete immaginare come l’insolito sconosciuto ci abbia subito conquistati.

Da quest’incontro scaturisce la seconda e ultima conclusione targata “ultimi giorni di festival e dove trovarli”:

È da una prospettiva totalmente diversa che è possibile vedere lo straordinario.

Il gentile signore ci racconta di come abbia visto la “sua Venezia” trasformarsi. “Per me è stato come fare la respirazione bocca a bocca a qualcuno da rianimare. Quando torna a respirare, per qualche tempo senti che la tua esistenza ha senso, che quello che fai ha un valore”.

Ecco cos’è per lui questo festival. Non solo lusso e lustrini (anche, sia chiaro, ma non solo). Sono migliaia di persone che ci lavorano, sono turisti innamorati del cinema ma anche innamorati dell’Italia. Sono giovani, meno giovani e non più giovani che lavorano insieme per un obiettivo comune. E’ una città che è un’imperatrice silente e che per qualche giorno torna a parlare. Vestita di albe che segnano un nuovo inizio e di tramonti indelebili.

Mentre i colleghi si godono la ritrovata spinta conversativa, quest’uomo si gode l’indelebile tramonto dell’ultimo giorno di Festival. Nel mezzo, si impone un immenso senso di gratitudine. Grazie perché tutto questo è stato di nuovo possibile.