Stanley Kubrick: tra bugie, fake news e falsi miti

A venticinque anni dalla sua scomparsa Stanley Kubrick continua ad essere uno dei registi più amati e considerati dal mondo del cinema e non solo. Alcuni dei suoi lavori (2001: Odissea nello Spazio, Arancia Meccanica, Shining, Full Metal Jacket, Barry Lyndon, il Dottor Stranamore ecc…) sono tutt’ora visti come david dei capolavori immortali; eppure, attorno alla figura del grande regista americano, continua ad esserci un alone di mistero sempre molto presente e marcato. “Maltrattava gli attori”, “non amava parlare con i giornalisti”, “girava i film fino allo sfinimento”, “era un misantropo che voleva solo vivere isolato dal mondo” fino ad arrivare a vere e proprie teorie del complotto che lo vorrebbero in combutta con la NASA o il governo americano per girare lo sbarco sulla Luna.

Cosa c’è di vero in tutto questo?
Probabilmente nulla, ma è appena arrivato un libro in grado di fare chiarezza e portare al mondo il racconto della realtà dei fatti in merito a queste spinose questioni.
“Sulla Luna con Stanley Kubrick: Miti, leggende e verità sul mostro sacro del cinema” di Filippo Ulivieri, autopubblicazione disponibile in cartaceo e in ebook nelle librerie e negli store online.
Ulivieri, curatore del sito ArchivioKubrick.it sin dal 1999, è il maggior ricercatore italiano su Stanley Kubrick nonché uno dei più grandi esperti al mondo sulla vita e l’opera del regista.
Già co-sceneggiatore del documentario David di Donatello “S is for Stanley”, regia di Alex Infascelli, il film che racconta la vita e il lavoro dell’assistente personale più caro a Kubrick (l’italianissimo Emilio D’Alessandro, autore – insieme allo stesso Ulivieri – della biografia “Stanley Kubrick & Me”, Il Saggiatore, Milano, 2016), Ulivieri vive da anni a Plymouth e studia a Londra presso gli archivi della fondazione che raccolgono tutto il materiale della produzione dei film di Kubrick.
Abbiamo avuto l’occasione di fargli qualche domanda sulla nuova fatica letteraria.

– Come hai iniziato ad interessarti al lavoro di Stanley Kubrick?

Per cavarmi d’impaccio parafraserò quel che diceva Kubrick quando gli chiedevano come mai da New York si fosse trasferito in Inghilterra: è una cosa che è successa, più che una decisione presa consciamente. Sono sempre stato appassionato di cinema e ho sempre avuto un interesse per il lavoro creativo che c’è attorno alla realizzazione di un film. La passione per Kubrick in particolare credo sia avvenuta in adolescenza: spiegherebbe anche la natura totalizzante che ha assunto — non ho problemi a definirla ossessione, termine chiave con Kubrick — cosa che succede con tutte le infatuazioni adolescenziali. L’interesse per il cinema di Kubrick era comunque rimasto un passatempo, se vogliamo: la cosa più seria che avevo fatto era aver messo in piedi il sito internet ArchivioKubrick.it durante gli anni dell’università. La svolta professionale è arrivata quando mi ha chiamato Emilio D’Alessandro, l’assistente del regista, per scrivere il libro delle sue memorie. Non

avevo mai pensato a scrivere un libro su Kubrick — anzi, proprio a scrivere un libro e basta. L’incontro con Emilio ha cambiato tutto e mi ha trasformato in uno scrittore di saggistica narrativa, uno che studia il cinema di Kubrick per lavoro e non solo per passione, e lo racconta come fosse una storia appassionante.

– Ricordi quale sia stato il primo film di Kubrick che ti ha lasciato qualcosa dentro?

Penso sia stato Shining, trasmesso in seconda serata in TV, in adolescenza. Ricordo il giorno dopo le discussioni con gli amici, quando ci domandavamo come mai il film ci avesse fatto così paura anche se non aveva quasi nulla del classico film horror: pochissime scene truculente, nessun anfratto buio da cui possano emergere d’improvviso i cattivi, nessun colpo di scena liberatorio nel finale. Non lo sapevamo all’epoca, ma stavamo parlando di regia cinematografica: tutte quelle scelte inusuali che Kubrick ha preso e che hanno fatto di Shining molto più che l’adattamento di un romanzo di horror soprannaturale di Stephen King.

– A tal proposito, cosa ne pensi della lunga battaglia mediatica e delle continue discussioni per stabilire se sia meglio il romanzo di King o lo Shining di Kubrick?

(NELLA RISPOSTA SONO PRESENTI SPOILER SUL LIBRO E SUL FILM)

King è un caso da manuale di un autore che resta scontento dall’adattamento cinematografico di un suo romanzo. Avrebbe tutti gli elementi per fregarsene: ha un successo planetario, ha visto oltre cinquanta adattamenti dalle sue opere, ha detto più volte che un film non può danneggiare un libro, che resta lì sullo scaffale dove è sempre stato. Eppure dello Shining di Stanley Kubrick si lamenta senza sosta da quarant’anni. Anche qui volevo far chiarezza e cercare di capire perché. Ho usato il metodo che uso sempre nelle mie indagini: andare a ricercare il maggior numero possibile di interviste e scritti di King per provare a comprendere da dove venisse questo suo astio verso il film di Kubrick. E la risposta l’ho trovata in un saggio che King scrisse per una rivista pressoché sconosciuta e che non è mai stato ripubblicata in nessuna delle sue pur numerose antologie. In quel testo King confessava a cuore aperto quanto il personaggio di Jack Torrance fosse autobiografico e nascesse dalle sue proprie pulsioni violente nei confronti dei suoi figli. Ecco perché il lieto fine del romanzo, in cui Danny perdona Jack in quanto era semplicemente stato soggiogato dal potere malvagio dell’Overlook Hotel, è così importante per King: era il suo modo di auto-assolversi e di ristabilire l’amore in famiglia. Kubrick cambia il finale della storia e lascia Jack preda delle pulsioni violente, senza redenzione. Al netto di un po’ di psicologia spicciola, credo sia questa la spiegazione dietro ai borbottii continui di King. Me l’ha confermato anche la sceneggiatrice del film, Diane Johnson, con cui ho parlato a lungo della realizzazione di Shining. Anche secondo

Diane, lei e Kubrick hanno inavvertitamente scombussolato l’inconscio di Stephen King e questa cosa lo ossessiona da allora.

– Sul set di Shining c’è stato un rapporto molto controverso anche con l’attrice Shelley Duvall, recentemente scomparsa, ma in generale, secondo i tuoi studi e il tuo parere, il racconto di un Kubrick cattivo con gli attori?

Questa è forse la caratterizzazione più comune di Kubrick: il tiranno del set che maltratta attori e tecnici e li comanda a bacchetta. Non c’è niente di più falso. Non ho trovato nessun attore che si è mai lamentato dal trattamento ricevuto da Kubrick, anzi tutti lo hanno sempre lodato come uomo e come regista. C’è invece qualche episodio di tensione con i tecnici, ma anche qui nulla di diverso da quello che si può sentire su ogni regista e su ogni lavorazione di film. Tra l’altro la squadra di tecnici era quasi sempre la stessa da un film all’altro: difficile che si fossero trovati tutti male, no?

All’esperienza di Shelley Duvall con Kubrick ho dedicato un capitolo a parte: i presunti abusi subiti e le storie sul suo esaurimento nervoso sono state così amplificate, specie negli ultimi anni, che era utile chiarirle una volta per tutte.

– Cosa possiamo aspettarci dal tuo libro?

Quello che più mi ha divertito, nella mia indagine delle leggende kubrickiane, è stato osservare con ironia il monumento a Stanley Kubrick che mezzo mondo gli ha eretto. Si parla di Kubrick sempre con riverenza, sempre come fosse intoccabile. Per questo nel sottotitolo del libro l’ho definito mostro sacro: mette l’accento sulla venerazione collettiva per Kubrick, che è uno dei temi ricorrenti del libro, e suggerisce un’intenzione birichina. Se è un mostro sacro viene subito voglia di dissacrarlo, come in effetti faccio ripetutamente tra le pagine.

“Sulla Luna con Stanley Kubrick” di Filippo Ulivieri è una ricerca molto profonda e dettagliata, frutto di anni e anni di lavoro, che contribuisce a fare chiarezza – in maniera mai troppo definitiva, visto anche il modo molto superficiale con cui si parla e si racconta il cinema al tempo dei social – sul lavoro e la vita di quello che è considerato – a torto o a ragione – come uno dei più grandi artisti del Novecento. Noi vi abbiamo dato l’opportunità di assaggiare solo una parte del contenuto, ma voi potete scegliere di abbuffarvi con un bel pasto completo.

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