American Sniper: recensione film

CLINT EASTWOOD PORTA IN GUERRA BRADLEY COOPER, MA PATHOS ED EMPATIA NON GLI RENDONO ONORE

locandina amsniperGENERE: bellico

DURATA FILM: 132 minuti

USCITA IN SALA: 1 gennaio 2015

VOTO: 3 su 5

Insira ed espira, respira ancora e poi spara. Il mestiere del cecchino è brutale, ti pone nella posizione di guardare negli occhi il tuo nemico, senza che lui lo sappia, pronto a far fuoco e “terminarlo”. Spesso per salvare una vita, per salvare una guerra, o solo per uccidere qualcuno. Lo sa bene Chris Kyle, la leggenda, il più letale cecchino della storia recente americana, ovvero per l’esercito USA il famoso American Sniper. Colui che è stato impegnato in quattro estenuanti missioni in Iraq nei primi anni duemila, che ne hanno impegnato mente e fisico fino allo strenuo delle forze. Questa è la sua storia.

Clint Eastwood prende da parte la star Bradley Cooper e lo trasforma letteralmente, esteticamente e caratterialmente, facendolo immedesimare in un militare semplice del Texas che si trasforma in un soldato feroce (ma giusto) sul campo e implacabile sui tetti di Baghdad. E Cooper-Kyle risponde alla grande, con una performance convincente e sentita. Un tantino in contrasto con la retorica americana sbandierata in ogni fotogramma, quasi fosse un commosso lascito alla nazione e non un film distribuito nel mondo.

Una regia maestosa, marchio di fabbrica dell’84enne Clint, alta scuola tecnica di un cinema classico che punta poco sulla scrittura, dimenticandosi l’emozione decisiva, quella che permetterebbe allo spettatore di entrare completamente all’interno del conflitto e nella mente del suo protagonista. Fatta salva una grande sequenza in una tempesta di sabbia, in American Sniper manca il pathos, il dramma interiore, quella violenza che genera altra violenza, psicologica oltre che fisica.

Soffriamo con Chris si, per la sua vita e per il rischio di perdere la sua famiglia, ma allo stesso tempo non combattiamo con lui, lo osserviamo distanti nel suo percorso emotivo interiore, dagli abissi reali a quelli post traumatici che ogni reduce porta con se. Il film ne risente e Eastwood forse stavolta si lascia prendere in anticipo dalla commozione senza regalare quel guizzo finale che non sia il gesto del saluto militare. Mano alla fronte, il dilemma etico tra vita e morte sul campo di battaglia rimane sospeso con una bandiera al vento.

 

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