Il Futuro: Recensione Film

IL LIBRO DI BOLANO SUL GRANDE SCHERMO DIVENTA UN FILMETTO (LUMPEN)

GENERE: drammatico

DATA DI USCITA: 19 settembre

VOTO: 2 su 5

DURATA: 94 minuti

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Ci sono libri e concetti troppo complessi per poter diventare cinema e, uno di questi, è sicuramente Il futuro, nozione temporale e titolo dell’ultimo film di Aliscia Scherson tratto dal romanzo Un romanzetto lumpen di uno degli scrittori cileni più apprezzati del momento, Roberto Bolano.

Bianca e Tomas, orfani a seguito di un incidente che ha causato la tragica morte dei loro genitori, si imbattono in due loschi figuri (una sorta di il gatto e la volpe alla Pinocchio che si avvalgono delle debolezze altrui per trarne beneficio) che vogliono intrufolarsi nella villa di un attore ormai messo da parte dall’impietoso tempo diventato noto, un tempo, per il suo aitante aspetto e per una lunga serie di film in cui ha interpretato sempre lo stesso ruolo, quello di Maciste. Il piano di intrufolarsi in questa sorta di paese dei balocchi ha bisogno ovviamente di un gancio, Bianca.

Con molto più realismo della apparente ironia dell’affermazione è proprio il caso di dire che il ritorno al grande schermo di Rutger Hauer, qui nei panni dell’ex Maciste, avrebbe potuto aspettare un futuro migliore (e pretendere un doppiaggio più consono) per tornare sul grande schermo.

Il complesso libro di Bolano, reso ancora più complesso da una sceneggiatura che si aggroviglia in se stessa nel pretenzioso progetto di voler ricreare le atmosfere dello scrittore, nella sua trasposizione afferra in più punti la banalità riducendo un’inarrestabile dipendenza psicologica a una cottarella adolescenziale prigioniere del bel corpo, spesso nudo e molto oliato, dell’affascinante attrice cilena Manuela Martelli.

È evidente Scherson abbia sbagliato più di qualcosa in questo lungometraggio dove comunque vanno salvati dei dialoghi interessanti (ma non di certo nelle elucubrazioni insensate della protagonista) e dove l’italiano Vaporidis, forse per la mediocrità dei suoi co-interpreti, ne esce a testa alta come attore ma a occhi bassi come produttore esecutivo evidentemente privo di logica e di gusto estetico.

Come il suo titolo questo film rappresenta qualcosa che non c’è, che avverrà o che si spera avvenga e, per essere più veritiero – parafrasando il titolo del libro da cui è tratto – avrebbe forse dovuto chiamarsi Filmetto lumpen. Non tanto per il lumpen ma per la sua essenza di filmetto.

 

 

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