Doppio gioco: recensione film

JAMES MARSH CONSEGNA UN THRILLER MEDITATIVO CHE PUNTA POCO SULLA SUSPENCE E MOLTO SUI PERSONAGGI

DOPPIO GIOCO LOCANDINAGENERE: Thriller/Drammatico

USCITA: 27 giugno 2013

VOTO: 3 su 5

Molti vedendo il faccione di Clive Owen sulla locandina e il titolo italiano potrebbero pensare a un film d’azione adrenalinico di quelli che ti tengono attaccati alla poltrona offrendoti esplosioni e sparatorie. Ma Doppio gioco (pessima traduzione dell’originale Shadow Dancer) non è esattamente così: trattasi di un thriller puramente britannico dove contano più che ‘suspence’ e adrenalina le dinamiche tra i personaggi, come a suo tempo era stato La talpa. Non che in tutto questo non manchi tensione, anzi…

Collette è una donna di Belfast la cui vita è stata segnata nell’infanzia dall’uccisione di un fratello minore durante una retata da parte della polizia inglese. Diventata grande, si unisce all’IRA insieme ai fratelli per l’indipendenza del Northern Ireland. Quando viene catturata dalla polizia si troverà di fronte a un bivio: spiare la propria famiglia per dare al figlio una via di fuga o continuare a sostenere il proprio nucleo familiare in difesa di un ideale più grande?

A confezionare questo thriller in bilico tra lo spionaggio di fattura letteraria e il realismo di certo ‘free-cinema’ inglese troviamo James Marsh, uno dei più grandi documentaristi europei: suoi sono infatti classici contemporanei del genere quali Man on Wire e Project Nim. All’inizio della sua ultima fatica tuttavia Marsh sembra quasi che nell’analizzare sentimenti e disagi dei protagonisti avanzi in modo didascalico, imponendo alla storia una rigidità che le sue precedenti opere non avevano. Poi l’opera lentamente prende il decollo e consegna scene di una potenza rara, in cui il connubio tra immagini e le musiche di Dickon Hinchliffe raggiunge vette che solo certo cinema indipendente sa raggiungere.

Chi si rivela ancora bravissima, dopo l’ottimo ruolo da protagonista nel mediocre W.E. di Madonna, è Andrea Riseborough, capace di metterci nei panni di una madre assillata da mille dubbi che, pur nel turbine degli eventi in cui viene trascinata, sarà capace di fare una scelta difficile e toccherà allo spettatore domandarsi: avrei agito diversamente al suo posto? Clive Owen in tutto questo si limita a fare la ‘guest star’ riproponendo l’ombra di se stesso, almeno rispetto ai tre cult –I figli degli uomini, Sin City, Inside Man– che lo hanno consacrato. Si tratta comunque del miglior film a cui l’attore inglese ha partecipato da quei tempi. 

 

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