Spaghetti story: recensione film

SPAGHETTI STORY, LA DRAMEDY GENERAZIONALE OFF DI CIRO DE CARO

Spaghetti StoryGENERE: commedia

DATA DI USCITA: 19 dicembre

DURATA: 83’

VOTO: 3 su 5

Qualche mese fa con Universitari di Federico Moccia aveva tentato di raccontare, anche se molto male, la realtà dei giovani d’oggi di quei ragazzi che alle prese ancora con lo studio si barcamenano tra presente e futuro. Quella generazione in bilico che invece che arrabbiata sembrava, vista dalla camera dello scritto-autore-regista, gioiosa nonostante i protagonisti della pellicola avessero un passato, un presente e delle famiglie più o meno burrascosi alle spalle. Un lungometraggio tanto debole di un clima talmente favolistico, retorico e distante dalla realtà dei coetanei descritti, da non riuscire a creare complicità tra attore e spettatore né tantomeno immedesimazione.

A dare un vero volto, forse più neorealista ai ragazzi di oggi ci pensa Ciro De Caro con il suo Spaghetti story, dramedy generazionale off con i piedi piantati bene a terra e consapevole della realtà che racconta.

Valerio e Cristian (Scheggia) si conoscono da una vita il primo, con il sogno di lavorare come attore e un agente che non si da abbastanza da fare per realizzarlo, tira avanti con sporadici lavoretti mentre il secondo campa attraverso affari illegali redditizi ma che comunque non lo spronano a lasciare la casa nella quale abita con la nonna. Scheggia riesce a portare Valerio sulla sua cattiva strada fino a che l’incontro con Mei Mei, una ragazza cinese segregata in un appartamento e costretta a prostituirsi cambierà la vita dei due amici.

La regia sporca e la naturalezza della recitazione degli attori che non danno a Spaghetti story alcun pregio estetico sono però in grado di creare un legame molto forte tra i protagonisti e il pubblico che, nel bene e nel male, in qualche modo si lega alle personalità, ben trattate, e di conseguenza si appassiona alle vicende raccontate in cui anche la spregevolezza di alcuni atti diventa emozione per chi ne è testimone al di là dello schermo.

Il finale è aperto e non lascia spazio alle spiegazioni e se in molti casi questa scelta narrativa può infastidire lo spettatore abituato come un bambino a una fine lieta o quantomeno al contentino di sapere che fine faranno gli interpreti delle vicende seguite, questa volta l’inconsapevolezza di cosa accadrà è perfettamente nelle corde di un lungometraggio che somiglia alla realtà tanto da rendere sopportabile la conclusione dal futuro incerto dei suoi protagonisti.

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