Supercondriaco: recensione film

IL SUPERCONDRIACO, SECONDO, FLOP DI DANY BOON

Supercondriaco GENERE: commedia

DATA DI USCITA: 13 marzo

DURATA: 107’

VOTO: 2 su 5

Colui il quale è affetto da un’acuta forma di ipocondria: questo è il significato di Supercondriaco, neologismo coniato per dare un titolo alla nuova commedia di Dany Boon.

Dopo il successo planetario di Giù al nord e il tentativo di replicarne la fama di Niente da dichiarare? non andato a buon fine, il cineasta francese Reuccio a tempo determinato della commedia d’Oltralpe, riprova a confermare le sue capacità con un nuovo lavoro che mescola comicità e grottesco senza amalgamare bene questi due ingredienti e, di conseguenza, dirigendo un lungometraggio neanche lontanamente paragonabile alla suo fortunato pre-predecessore.

Roman è uno scapolo quarantenne con gravi problemi di socializzazione conseguenti alla sua pronunciata ipocondria. L’unico amico rimastogli muore per un letale cocktail e così l’uomo si attacca morbosamente alla figura più importante della sua esistenza, il suo medico, che cerca ogni tipo di escamotage per liberarsi di Roman riuscendo solo a solidificare il loro rapporto.

L’idea dell’ipocondria fattore scatenante di una serie di banali, seppur divertenti e in questo caso molto ripetitive, gag è vecchia almeno quanto Il malato immaginario di Molière eppure non è questa scelta antica e troppe volte sciorinata a rendere il lungometraggio di Boon quasi totalmente privo di mordente.

Dopo una prima parte piacevole e ironica quanto basta, senza infamie e senza lodi, il film incomincia a perdere colpi e tenta di riprendersi con un’operazione suicida: l’ambientazione viene spostata nel bello mezzo di una guerriglia politica ai piedi dei Balcani dove un leader ribelle entrato illegalmente in Francia si inserisce a forza nella narrazione che modifica il suo registro sui toni del grottesco. Il motivo di questo azzardo malriuscito è incomprensibile  e l’appellarsi al (buon) senso inopportuno data la natura non sense dell’intera scelta.

Dany Boon e Kad Mèrad, nonostante questo supercondriaca caduta di stile, restano comunque una coppia comica d’eccellenza per la perfezione dei tempi comici e per il loro feeling ben collaudato che stavolta si è inserito in un contesto troppo fragile, tanto da non riuscire a salvare un lavoro che sembra scritto e girato con la foga di creare qualcosa all’altezza di Giù al Nord. Foga che ha portato solo a un risultato tutto sbagliato e che sente palesemente, ancora dopo 6 anni, il peso del successo che fu.

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