CEYLAN CON UZAK RIVOLGE UNO SGUARDO INTIMO ALLA CRISI ESISTENZIALE DI UN UOMO E DELLA TURCHIA
Campo lungo, paesaggio innevato, un uomo, Yusuf (Emin Toprak), cammina in direzione della macchina da presa. Poi si dirige in strada e fa l’autostop, una macchina si ferma e appare il titolo Uzak (“Distante”), su sfondo nero.
Un film che si racconta soprattutto per immagini e suoni (e silenzi), come il cinema dovrebbe sempre fare, una macchina da presa immobilizzata negli interni, a testimoniare impassibilmente le vite dei personaggi, restando sempre in disparte, sulla soglia, senza disturbare né oltrepassare la linea di confine. Gli esterni sono invece spesso accompagnati da lenti movimenti di macchina che costruiscono fluide panoramiche orizzontali. Compongono dei ritornelli le medesime inquadrature fisse dell’interno della casa di Mahmut (Muzaffer Ozdemir), cugino di Yusuf, a sottolineare la monotonia della sua vita. Frequente è l’inquadratura frontale con la macchina da presa appena fuori la porta della cucina, altre nelle camere da letto e ancora più spesso il totale obliquo del salone con in primo piano la poltrona davanti alla tv su cui prima i due cugini guardano Stalker di Andrej Tarkovskij (già citato in una scena precedente, il personaggio voleva fare “un film alla Tarkovskij”) ma non appena Yusuf si ritira in camera, Mahmut gira su un porno. Poco dopo la televisione viene da quest’ultimo criticata con le seguenti parole: “50 canali e non un programma decente”. Ma nonostante ciò i personaggi (soprattutto Mahmut) continuano a guardarla distratti e annoiati, allo stesso modo i loro sguardi si rivolgono a contemplare fuori dalla finestra il freddo paesaggio invernale di una Istanbul afflitta dalla crisi economica (metafora della crisi esistenziale che ha colpito Mahmut).
La fotografia, diretta dallo stesso Ceylan, è perlopiù caratterizzata da colori caldi, gli esterni sono spesso illuminati dalla luce del sole (anche se non mancano giornate dal cielo grigio) ma soprattutto negli interni viene trasmessa la sensazione di calore tipica delle lampadine a basso dispendio energetico, a cui contribuiscono l’arredamento in legno, il parquet e i molti tappeti. Interessante il lavoro sul chiaroscuro e sulle ombre che avvolgono i personaggi e gli ambienti come a sottolinearne la distanza (ricordiamo che Uzak significa “distante”, “lontano”) non solo geografica ma anche caratteriale ed interiore fra i due cugini.
Premio della giuria e palma d’oro ex aequo ai due attori protagonisti al Festival di Cannes nel 2003, Uzak descrive una società, quella turca, nel pieno della crisi, non solo economica con dilagante disoccupazione, ma anche esistenziale (di cui Mahmut si fa portavoce), rappresentata attraverso lo squarcio intimo di un appartamento nella caotica città di Istanbul. Potente l’ultima silenziosa inquadratura, una lenta zoommata, in opposizione alla prima immagine in campo lungo, che stringe sul primo piano, stavolta di Mahmut, accompagnata ora dal solo rumore delle onde del mare che prosegue nei titoli di coda. C’è ancora la neve.