Castello Errante: la parola al regista e al direttore della fotografia

INTERVISTA A DUE DEI PROTAGONISTI DELL’INIZIATIVA CHE HA RIUNITO A MONTENERO SABINO DEI GIOVANI TALENTUOSI ALL’INSEGNA DEL CINEMA

Un mese, dal 15 settembre al 15 ottobre, in cui 15 studenti under 35 del settore cinematografico, provenienti dall’Italia e dai Paesi dell’America Latina, si sono riuniti nel borgo laziale di Montenero Sabino. 30 giorni a stretto contatto masticando quotidianamente una passione comune, quella per la settima arte, ed entrando in relazione con la realtà che li ospita. Obiettivo: la produzione di un cortometraggio. Questo è il nucleo del progetto Castello Errante – Residenza Internazionale del Cinema, iniziativa ideata dalla Cinema Mundi ONLUS con il sostegno della Regione Lazio e la collaborazione dell’IILA, delle Ambasciate dell’Argentina, del Cile, della Costa Rica, dell’Ecuador, del Guatemala, del Nicaragua e del Perù, nonché della Provincia di Rieti e della Roma Lazio Film Commission.
Grazie a questo progetto ha preso vita la sceneggiatura dal titolo Deriva scritta da Domenico Vitucci, un lavoro che s’ispira alle atmosfere di svariati autori del periodo che va dagli anni ’40 agli anni ’70, in particolar modo a tre film: Il seme dell’uomo di Marco Ferreri, La terra vista dalla luna di P.P. Pasolini e Operazione Paura di Lamberto Bava. Quella di “Castello Errante” è stata sicuramente un’esperienza che merita di andare molto oltre la prima edizione, un modo per dare la possibilità a tanti giovani talentuosi (provenienti da diverse parti del mondo) di fare esperienza sul campo, di conoscere realtà diverse dalla propria e di dare un fondamentale contributo alla crescita del settore cinematografico. Abbiamo parlato di questo nuovo “modello di convivenza e produzione” con il regista e il direttore della fotografia di Deriva, l’argentino Fernando Julio Pèrez e il cileno Oscar Francisco Carvajal Nuñez.

Fernando e Oscar, com’è stato lavorare con una troupe internazionale? Le diverse origini dei vari membri hanno influito sul risultato della vostra collaborazione?
Fernando: È stata un’esperienza senza precedenti che mi ha arricchito molto. Siamo stati fortunati a incontrare persone incredibili e condividere con loro esperienze diverse, capire come funziona il cinema in ciascuno dei Paesi, in che stato è, generare un forte legame e un vero scambio culturale, capire come funziona la loro società e, soprattutto, condividere la sensazione di cosa significhi, almeno in America Latina, impegnarsi per ciò che ti appassiona, buttarsi a capofitto e dedicarsi al cinema. Penso che siamo tutti in un momento simile della nostra vocazione e il poter condividere speranze, paure, esperienze, ci ha unito come gruppo e ha generato un maggiore impegno per lavorare nel modo migliore durante le riprese.
Oscar: Eravamo una squadra di persone molto diverse ma unite da un’idea. Mi è sembrata un’esperienza incredibile, soprattutto la prima discussione della sceneggiatura durante la quale ci siamo resi conto che stavamo guardando il progetto in un modo molto simile.

Il cinema e il suo linguaggio vi sono stati utili come elementi d’unione per le vostre diverse esperienze?
Fernando: Sì, certo. Al di là delle differenze culturali che possiamo avere, fare cinema funziona allo stesso modo ovunque e questo ti dà la tranquillità quando si lavora, anche quando ci sono differenze linguistiche. Non ho mai pensato che potessi avere una produzione o un assistente alla regia italiani, per esempio, con la quale abbiamo finito per avere un dialogo fluido, per necessità, e si è rivelato molto soddisfacente. D’altra parte, la passione che abbiamo per il cinema si è rivelata la stessa di tutto il team, e ciò, quando si è trattato di lavorare, ha reso le cose molto più semplici.
Oscar: Assolutamente sì! In quei momenti, tutti parlavamo la stessa lingua.

Il corto da voi prodotto con questo progetto, “Deriva”, ha una sceneggiatura che si ispira, in particolare, a tre film italiani. Li conoscevate già? Che rapporto avete con la cinematografia del nostro Paese?
Fernando: No, non li conoscevo. Il cinema italiano è molto apprezzato in Argentina, in particolare quello che è stato realizzato tra gli anni ’40 e ’70, che è servito come riferimento al cinema argentino dello stesso periodo. Il Neorealismo italiano è sempre oggetto di studio in qualsiasi università, soprattutto le opere di registi come Federico Fellini o Vittorio De Sica. Anche il lavoro di Sergio Leone, Ettore Scola, Bernardo Bertolucci e Pier Paolo Pasolini è ben noto.

Sia dal punto di vista della regia che della fotografia, come vi siete mossi per portare le atmosfere oniriche della sceneggiatura nel cortometraggio?
Fernando: Ho provato a sfruttare tutti gli elementi della messa in scena per farlo. A partire dalla performance siamo stati fortunati a provare più giorni nei luoghi in cui stavamo per girare, in modo che gli attori potessero conoscere l’ambiente e appropriarsene e creare un ottimo rapporto tra loro. Della fotografia abbiamo parlato con Oscar per lavorare certe scene con movimenti di camera “fluttuanti”, avendo come riferimento, con tutto il dovuto rispetto, alcuni dei lavori di Emmanuel Lubezki, che contribuiscono a creare questa atmosfera da sogno. Lo stesso vale per i costumi e il trucco, per i quali abbiamo sempre cercato di creare atmosfere rarefatte. Così come per il montaggio e, fondamentalmente, per il lavoro del suono e della musica
Oscar: È stato un lavoro congiunto di entrambi i settori molto metaforico. Abbiamo cercato di ricreare atmosfere e sensazioni nella forma in cui le avevamo progettate, combinando sensazioni con l’utilizzo della camera e della luce.

Ci sono dei nomi della cinematografia dei vostri rispettivi Paesi a cui vi ispirate o che consigliate di approfondire?
Fernando: Sì, ho avuto come riferimento Lucrecia Martel, che è una regista molto importante dell’attuale cinema argentino, soprattutto per quanto riguarda la sua maestria nel creare atmosfere e trasmettere sensazioni visive e sonore.
Oscar: Un personaggio che mi incanta è Víctor Jara, senza dubbio un simbolo di rivoluzione attraverso l’arte e la poesia presente nei suoi testi, che è un po’ quello che abbiamo provato a fare.

Come vi siete trovati nel comune di Montenero Sabino?
Fernando: È stata un’esperienza incredibile. Fin dal primo giorno abbiamo sentito il calore delle persone con un ricevimento nella piazza centrale, durante il quale ci hanno offerto cibo tipico del luogo. Il cibo era un fatto a sé. Il paese aveva una grande cucina e tutti i giorni pranzavamo e cenavamo lì con il cibo preparato in casa da una cuoca napoletana e da una romana, che ci hanno deliziato con i migliori piatti di pasta che abbia mai assaggiato in vita mia e ci hanno trattati come se fossimo figli loro. D’altra parte, mentre lavoravamo al film, la produzione organizzava diverse attività che ci arricchivano in un modo o nell’altro: la visione di pellicole che potevano servire come riferimento e di titoli iconici italiani; incontri con studenti secondari ai quali abbiamo spiegato come è stato realizzato un film; incontri con tutor di ciascuna specialità… Tutto questo si aggiunge alle 24 ore vissute insieme tra le stesse venti persone, isolati, vivendo il cinema e parlando di cinema… Abbiamo generato un legame molto intenso tra tutti, molto emotivo, come se fossimo una famiglia. La sensazione era qualcosa come il purgatorio della fine di Lost: la follia.
Oscar: Incredibile, il posto è bellissimo, lì ho incontrato il silenzio di cui, a momenti, avevo bisogno, contemplando paesaggi meravigliosi, pieni di storia ed energia. Abbiamo ricevuto un’accoglienza molto buona da parte della gente del posto, grazie alla quale ho imparato tante cose, dal cucinare piatti tipici del luogo fino e a provare nuove sensazioni.

Quali sono gli insegnamenti più importanti che avete acquisito da questa esperienza, sia dal punto di vista professionale che umano?
Fernando: Da un punto di vista professionale, lavorare con queste persone cosi piene di talento ti dà davvero tanto per continuare la tua crescita nel cinema. Da un punto di vista umano, avere a che fare con gente diversa ma allo stesso tempo tanto simile a te ti arricchisce come persona e ti aiuta a capire meglio gli altri, oltre a migliorarti. E la cosa più importante, porto con me il fatto di aver conosciuto tanti ragazzi pieni di calore e veramente incredibili.
Oscar: Dal punto di vista personale, il senso di amicizia e di adattamento a un nuovo ambiente, l’aiuto sia fisico che emozionale e l’imparare ad ascoltare chi ha un punto di vista diverso. Dal punto di vista professionale per me è stato tutto un valore aggiunto, lavorare fuori dal mio paese è un’occasione di grande valore e lo è ancora di più in un gruppo multietnico e con una squadra tecnica di alto livello.

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