IL SIGNORE DEGLI ANELLI: IL CAPOLAVORO DI TOLKIEN “INSEGNATO” NELLE SCUOLE DELLA TERRA DI MEZZO
Si può premettere sin d’ora che J. R. R.Tolkien non ignorava certo una delle caratteristiche principali dei simboli, quella della loro dualità (non dualismo): due significati diversi, non di rado opposti, si racchiudono in un unico simbolo, spesso corroborandosi vicendevolmente, senza negarsi l’un l’altro. Talvolta tale dualità è dovuta a ragioni di tipo storico, accadendo che un senso nuovo andasse a sostituire il precedente, per opposizione, per “cambio di civiltà” o per il sovrapporsi di una nuova sensibilità. Conscio di questa fondamentale caratteristica, Tolkien è però appieno uomo del ventesimo secolo. In lui epos e mythos sentono i tratti di quest’epoca, manifestandosi, a livello letterario, in una malinconia, o meglio in una nostalgia (dolore della lontananza). Tale carattere, latente e diffuso dell’opera tolkieniana è la ragione del tanto fascino odierno, per niente attenuato (e anzi direi accresciuto) anche dopo la scomparsa dell’autore de Il Signore degli Anelli.
Tratteremo in questa sede il popolo di Arda, gli Elfi, gli Eldar, oppure, come imporrebbe la mitologia nordica da cui ebbero origine, gli Alfàr. Comunque si prediliga chiamarli, gli Elfi sono descritti come le più belle creature della Terra di Mezzo.
Amanti dell’arte, della musica e della conoscenza al suo livello più evoluto gli Elfi sono i primi abitanti della Terra di Mezzo in grado di parlare. I primogeniti, i figli maggiori dell’universo stesso possono apparire in netto contrasto con gli uomini. Il bene e il male della stessa mela, il peccato originale appunto. Quello che l’uomo sarebbe potuto diventare. La perfetta statica, il bilanciamento realizzato delle caratteristiche umane, eppure dimenticate. Caratteristiche appartenute a tutti gli esseri umani un tempo, in una dimensione immaginaria quale appunto è la Terra di Mezzo. Eppure diventate aliene. Come se domani ci svegliassimo e non sapessimo più perché abbiamo le mani, a che fine utilizzarle. Ecco che all’occhio osservatore Elfi e Umani si pongono come un indice indicativo rispetto alla possibilità e alla necessità di coesistere di bene e male. Siamo parte integrante di una stessa creatura, le due metà della mela. Per questo le strade di Elfi e Umani finiscono sempre per intersecarsi, per questo si uniscono, si cercano, si bramano.
Capelli scuri e occhi grigi (eccezion fatta per le stirpi dei Vanyar (capelli biondo dorato) e i Teleri (argentati), gli Elfi possono vantare sensi estremamente acuti. La proiezione di quello che avremmo potuto essere ma che abbiamo lasciato andare. Nonostante l’epilogo della trilogia infatti, l’uomo è “l’anello debole”. Ha un animo corruttibile, facilmente manipolabile. L’elfo invece, associato alla fertilità della terra, quindi alla vita, simbolo della forza dell’aria, del fuoco, della terra, dell’acqua e dei fenomeni atmosferici, rappresenta tutto quello su cui l’uomo non può esercitare il suo controllo. Per questo la relazione uomo-elfo è resa possibile dalla stessa mitologia, per creare l’illusione di poter gestire forze altrimenti inafferrabili, impenetrabili.
Gli occhi degli elfi, capaci di penetrare tanto in profondità da annientare e saccheggiare il nostro inconscio, sanno leggere nelle menti dell’essere umano decifrando quello a cui noi stessi non sappiamo dare un senso. Sono la rettitudine morale, come fossimo noi stessi a guardarci con gli occhi di un giudice incorruttibile per sentirci infondo meno deboli, condizionabili. L’elfo nasce dalla Grande Madre Terra e ad essa è devoto. Non la danneggiano in nessun modo, non la violentano nel perseverante tentativo di estrarne qualcosa.
La mitologia li divide in:
- Elfi della Luce, alleati dell’uomo. Figli del Sole, seguaci di una rinascita continua.
- Elfi del Crepuscolo, coloro che cavalcano verso il tramonto, i guardiani della nostalgia del tempo che fu. Nostalgia, ricordiamo quanto attinge Tolkien da questo vaso.
- Elfi delle Tenebre, aiutano coloro che hanno smarrito la strada a ritornare alla luce.
Tutti e tre insieme a formare il cerchio della vita, una compiuta realizzazione delle fasi di risveglio di un uomo: La nascita e il saluto al sole, la sete di scoperta e di esperienze, quindi la nostalgia “del giorno che è stato”, di casa, di quel che conosciamo, il processo di adattamento all’impermanenza che porta al disorientamento, a perdersi per poi ritrovarsi se ci si affida a quella parte “elfica” che ancora sopravvive in noi.
La stessa Terra di Mezzo si perde fra leggenda e realtà, contesa anch’essa fra le forze del bene e del male in una continua e sfinente lotta al predominio.
“Di MEZZO” perché al centro dei mari, dei ghiacci del nord e dei fuochi del sud. Mezzo appunto, il centro. La spasmodica ricerca di equilibrio a cui simbolicamente ci si appella ma che è sotto costante assedio di bene e male, giusto o sbagliato. E se non fosse il “male” ad impadronirsene, se fosse proprio l’impossibilità di coesistere di due elementi che non possono esistere l’uno senza l’altro, proprio perché sono l’uno la conseguenza dell’altro e viceversa.
Luce e ombra si alternano da sempre in una danza senza fine: un’epoca oscura è seguita in tutti i suo livelli da una luminosa, pura e rigenerata. Ma non potrebbe essere così se non ci fosse l’ombra.
Del resto la saga è tutta un equilibrio fra uno e l’altro.
Scrisse nel suo Origini indoeuropee Giacomo Devoto, linguista:
“Il tratto fondamentale del paesaggio indoeuropeo originario è dato dalla foresta”. Allo stesso modo, termini importantissimi del vocabolario indoeuropeo più arcaico traggono proprio dal paesaggio boschivo la loro fonte etimologica: la stessa fondamentale parola “luce” deriva da quella sua particolare manifestazione che è data dal suo filtrare tra i rami degli alberi, e in specie nelle radure. Così “luce” è strettamente parente di lucus, il bosco sacro nell’antico latino. Inoltre nell’immaginario medievale europeo al bosco si collegavano le più svariate credenze: esso era visto infatti come luogo di arcani incontri, di pericolose presenze, di fatate entità. Queste sono le stesse caratteristiche di Bosco Atro.
La “bianchezza” degli elfi non è solo il segno della purezza originaria, ma rimanda anche alla sua remota antichità iperborea. E il rivolgere a tale remota origine lo sguardo è il grande messaggio dell’opera simbolica tolkieniana. In ogni caso, simbologia a parte, se siete riusciti nell’eroica impresa di arrivare alla fine di questo articolo, allora posso affermare con presuntuosa sicurezza che riuscirete anche nell’eroica impresa della visione della saga.