Andrej tarkovskij: il regista poeta si "mostra"

FOCUS SUL GRANDE CINEASTA RUSSO: DAL 4 APRILE AL 4 MAGGIO RETROSPETTIVA AL TECNOPOLO TIBURTINO 

Nato nel 1932 nella Russia stalinista Andrej Tarkovskij ebbe la fortuna di avvicinarsi alla settima arte nel momento in cui l’ex Unione Sovietica, morto Stalin, stava vivendo un momento di grande liberalizzazione che permetteva una certa libertà artistica. I primi due film del regista Il rullo compressore e Il violino (1960) sono sicuramenti figli di quel tempo avendo come soggetto l’infanzia e l’adolescenza come grandi metafore di speranza e cambiamento, due concetti fondamentali in uno dei due grandi paesi coinvolti nella Guerra Fredda.

Stessa cosa vale per L’infanzia di Ivan la storia di un bambino che, diventato orfano, è costretto a crescere troppo presto, prima in solitudine e poi in piena guerra accanto ai soldati. Vi è molto di autobiografico in questa pellicola e vi è molto anche di un’intera generazione coetanea del cineasta che abituata alla guerra quasi si trova a disagio in tempo di pace. Come spesso accade nelle altre pellicole di Tarkovskij anche in questa il punto di vista del regista non è affatto collettivo o sociologico ma si chiude strettamente sull’individuo che ne è protagonista.

Negli anni 60’ e per tutto il periodo della Guerra Fredda la cultura Russa tendeva a imitare la cultura occidentale. Il regista per tutta la sua vita è stato contrario a questo e lo dimostra in maniera potente con la sua biopic ispirata alla vita di Andrej Rublev nella quale, attraverso il racconto dell’esistenza del pittore trecentesco, inserisce nel suo lavoro riferimenti culturali lontanissimi dalla cultura occidentale e prettamente inerenti a quella sovietica. Con questo lungometraggio il cineasta incomincia a porre al centro della sua filmografia interrogativi sull’esistenza e sull’uomo che si trova in conflitto tra ciò che è spirituale e ciò che è materiale.

Nel 1979 con Stalker il regista continua il suo cammino alla ricerca di un mondo d’ideali che, seppur circondato da un filo spinato, esiste.

È forte nelle pellicole di Tarkovskij la comunicazione affidata a simboli e iconografie come possono essere Bosch, Leonardo, Bruegel, Rembrandt, Dürer, le cui atmosfere vivono delle suggestioni di musiche che attingono da Bach o da Beethoven, fino al folcklore scandinavo e giapponese. Un impianto narrativo che toccherà anche l’architettura italiana quando nel 1983, divenutogli ormai impossibile il lavoro in patria, sceglie la provincia di Siena e la collaborazione alla sceneggiatura di Tonino Guerra per girare Nostalghia.

Il film che ha concluso la carriera di Andrej Tarkovskij è del 1986 quando ormai il regista era gravemente malato. La pellicola sottolinea ciò che il cineasta aveva già all’epoca compreso ovvero che la tecnologia e la scienza avrebbero preso il posto della morale e l’unico modo per limitare i danni è porre al centro della collettività la figura dell’artista che diventa educatore alla moralità. Il cinema di Tarkovskij è lontanissimo dalle logiche narrative tradizionali della settima arte ma si sofferma sui particolari, tralasciando a volte il racconto, nutrendosi di un simbolismo fortissimo come fa, nella letteratura, la poesia. 

In occasione del suo 81° compleanno e per onorarne la memoria, la Tauron Entertainment e Ciak 2000 organizzano la retrospettiva ANDREJ TARKOVSKIJ: IL POTERE DEL CINEMA, rassegna dedicata al cineasta sovietico che sarà visitabile dal 4 aprile al 4 maggio, presso il TecnoPolo Tiburtino  di Roma (via Giacomo Perotti, 452). 

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