Cannes 66 – Stop the pounding heart: recensione film

MINERVINI CHIUDE CON QUESTO FILM, CHE PECCA DI TROPPA LENTEZZA, LA SUA TRILOGIA DEL TEXAS

C’è un’America sconosciuta ai più all’ombra dei grandi grattacieli e della bellezza imponente delle sue città. Un’America rurale che alleva i propri figli in casa aiutata solamente dai precetti della Bibbia.

Su questa parte degli Stati Uniti l’italiano Roberto Minervini ha incentrato la sua “trilogia del Texas” iniziata con The passage, un road movie dove il paese viene attraversato da una malata terminale che alla ricerca della guarigione e che trascorre dei giorni presso una famiglia di allevatori di pecore, proseguita con Low Tide storia di un ragazzo emarginato e del mondo che si costruisce intorno per sopravvivere, e ora conclusa con Stop the pounding heart.

Sara è una giovanissima donna figlia della famiglia di allevatori che nel film The passage avevano accolto la ragazza affetta da una grave malattia. La sua vita è fatta del duro lavoro della fattoria, della consapevolezza che il suo destino è diventare una moglie devota e sottomessa. La sua istruzione è circoscritta alle quattro mura della casa in cui abita, i suoi genitori sono gli insegnanti e la Bibbia è la Stella Polare che bisogna seguire per non perdere la retta via. Sara, il cui nome forse non è casuale, a un certo punto incontra Colby, un bull rider, cadendo così in una profonda crisi che mette in discussione tutti i precetti secondo i quali è stata educata.

Il giudizio su questo film non può prescindere da alcuni fattori: innanzi tutto Roberto Minervini non usa attori. Il lavoro è un ibrido tra fiction cinematografica e documentario. Le persone che vediamo sul grande schermo sono gente comune che vive nei luoghi in cui il film è stato ambientato.

La lentezza delle scene è espressione della lentezza di quei luoghi e di quelle vite dove il tempo è dilatato. La regia segue minuziosamente e con una buona dose di abbellimenti estetici i movimenti dei protagonisti, i loro sguardi, il percorso di Sara sia prima che nella disperazione confidata poi alla madre che la riporta sulla retta via è tutta nei suoi occhi.

Il lungometraggio di Minervini risulta essere quindi una buona prova registica e un interessante ritratto di una parte dell’America lasciata in disparte dalla settima arte.

La pecca più profonda del suo film sta forse nell’eccessiva sperimentazione e lentezza che con difficoltà potrà catturare l’attenzione del grande pubblico.

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