BLOCKBUSTER MEMORIES: TRUFFAUT REGALA AL PUBBLICO MONDIALE UN’OPERA A LUI CARA, OGGI DA RISCOPRIRE
Louis Mahé è un produttore di tabacco nella francese isola dell’oceano indiano Réunion. Il ricco imprenditore ha da diversi mesi un rapporto epistolare con Julie Roussel, con la quale ha instaurato un rapporto talmente profondo da venire dalla Francia direttamente per sposarlo. Quello che l’innamorato e perso Louis non sa è che Julie nasconde un segreto. Un segreto che la porterà via da lui attraverso la menzogna. Un mistero che forse non lo distoglierà dalla dipendenza per la bellissima quanto sfuggente Julie.
Tratto dal romanzo Waltz into darkness (italianizzato Vertigine senza Fine) di William Irish, La Sirène du Mississipi, conosciuto in Italia come La Mia Droga si Chiama Julie, è una storia d’amore contrastata dalle contingenze, in bilico tra una velata verità e il sentimento più profondo. Il racconto di una devozione che trova il suo arresto solo nel momento in cui quella certezza svanisce, e si scopre che l’inganno ha fatto da silenzioso motore ad un idilliaco racconto d’amore. Jean Paul Belmondo è nella veste inusuale di uomo sottomesso e fragile che, soggiogato da un complesso quanto mai sicuro sentimento per la sua Julie, agirà d’impulso sacrificando la sua intera esistenza alla ricerca di chi gli ha procurato un piacere così doloroso. Nella parte di Julie è una Catherine Deneuve dall’intensa bellezza e dall’indecifrabile amore per il suo comprimario. Un personaggio che si trova in un’ altalenante giostra di simpatie e antipatie, che genera rabbia all’inizio, ma mai fino in fondo, e che rimane assassina dell’integrità morale di un uomo sceso a patti con l’enormità del suo amore.
François Truffaut dipinge con una grande maestria quelli che sono i sentimenti nascosti dietro quelle parole dette ed esplicate, ma che trovano reale rifugio negli sguardi concessi di nascosto. Il regista non solo mostra ma suggerisce, con abile ingegno, le intenzioni dietro l’inarrestabile catena di eventi. Ed è proprio questo suggerire e velare il tutto senza troppo raccontare, lasciando così allo spettatore il compito di comprendere, a rendere tale opera il film più Hitchcockiano del regista francese.
Nato grazie al successo di Baci Rubati, film che permise i mezzi economici per l’acquisto de diritti del libro, La Mia Droga si Chiama Julie è un ritratto dell’amore che si dipana in maniera non convenzionale con la scusa di mostrarsi inizialmente come un semplice thriller ben congegnato, mutando poi in una delle più complesse avventure sentimentali mai narrate.
Importanti partecipazioni minori, ma da non sottovalutare, sono quelle di un’altra coppia di attori, Michel Bouquet, già visto nella Sposa in Nero di Truffaut e Nelly Borgeaud, amante del protagonista de L’uomo che amava le donne.
Purtroppo tutto ciò che si può vedere oggi in Italia di questo splendido film è una visione mutilata da una censura che all’epoca tagliò quasi mezz’ora della pellicola. Deturpandolo di scene importanti e fondamentali per il senso del film.
La pellicola, che ebbe all’uscita – nel ’69 – uno scarso successo di critica e pubblico, si mantiene in bilico sull’intermittente e concitata melodia firmata da Antoine Duhamel, rimanendo un capolavoro ancor troppo poco conosciuto del suo artefice parigino.