Jackie: recensione

IL RITRATTO DI UNA DONNA NEL MOMENTO DI MASSIMO DOLORE: JACKIE È INTERPRETATA DA UNA MAGNIFICA NATALIE PORTMAN NEL FILM DI PABLO LARRAIN

Jackie locandina

GENERE: drammatico/biografico

DURATA: 99 minuti

USCITA IN SALA: 23 febbraio 2017

VOTO: 4 su 5

A pochi giorni dalla morte del marito John F. Kennedy, il giornalista Theodore H. White di Life bussa alla porta di Jackie, affinché anche lei racconti come sono andate le cose a Dallas, durante quel giorno funesto. Il racconto della donna salta dal periodo presidenziale all’attentato appena accaduto, attraverso un resoconto emozionale che sa di una favola che termina con la caduta dell’eroe.

Pablo Larrain, dopo il recente Neruda, torna a dedicarsi ad una biografia: stavolta al centro della sua ricerca c’è Jacqueline Kennedy, un’anima messa a dura prova quando il destino le lascia vivere e affrontare l’atroce morte del marito.

Jackie e il suo vestito rosa, che improvvisamente si macchia mentre tiene la testa dell’uomo amato sul grembo, che perde sangue e materia cerebrale, sono di una potenza simbolica sconvolgente. L’attentato al presidente degli Stati Uniti è solo il punto di partenza, o forse di arrivo, per raccontare la storia della first lady e la sua evoluzione in donna forte e risoluta, icona di stile, amante di tutto ciò che è cultura e regina dei media, colei che per prima aprì le porte della Casa Bianca presentando un tour per la televisione e raccontando storia e decori di ogni stanza.

La figura di Jackie si racconta prima ancora che con le parole, però, con i suoi abiti: la moda e il suo gusto sono dettagli su cui Larrain ha lavorato non poco, esaltati in numerose scene che sottolineano questa passione della first lady. Ma questo non sarebbe nulla se a vestire queste preziose stoffe non ci fosse un’attrice che con la sua interpretazione eleva ancora di più il suo talento meritandosi la sua seconda statuetta agli Oscar, perché Natalie Portman commuove profondamente, e riesce a trasmetterci un dolore inenarrabile solo attraverso il suo sguardo e i suoi gesti.

Una lunga scena nelle stanze di Jackie, all’indomani dell’attentato, la coglie nel profondo della sua intimità ormai solitaria, e fra sigarette, bicchieri di whisky e cambi d’abito mostra un’animo lacerato da un dolore che non può essere reso pubblico, ma che deve rimanere celato per lo status della sua persona, perché c’è troppo poco tempo per elaborare il lutto, e i riflettori di tutto il mondo sono tutti puntati su di lei a imprimere per sempre nella memoria della storia ciò che è stato, che è e che sarà.

Ciò che gli altri non possono vedere, però, si mostra all’occhio di Larrain, che ce lo racconta attraverso dei piano frontali di grande potenza visiva, quasi spiazzanti per lo spettatore, il quale non può far altro che arrendersi a cotanta bellezza e sincera disperazione, partecipandovi a sua volta. Inquadrature delicate e discrete che accarezzano Jackie nei momenti di debolezza, e la seguono in quelli di forte determinazione.

Jackie è un racconto che agli occhi si mostra come una dura realtà, quella che la protagonista vive in questi giorni strazianti (e quella che verrà, su cui la protagonista si interroga e che la preoccupa); ma quando, con la sigaretta sempre accesa, si cimenta nella lettura e nella correzione degli appunti del giornalista, quello che della storia rimane non è altro che una favola, con il suo eroe caduto e le sue imprese che non verranno mai dimenticate.

I personaggi che leggiamo nei libri diventano più reali di chi ci è accanto.

 

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