The Place: recensione

THE PLACE: SARESTI DISPOSTO A VENDERE L’ANIMA A VALERIO MASTRANDREA PER AVERE QUELLO CHE VUOI? L’ULTIMO FILM DI GENOVESE COLPISCE L’ANIMA DELLO SPETTATORE

locandina the placeGENERE: drammatico

USCITA IN SALA: novembre 2017

DURATA: 105 minuti

VOTO: 3,5 su 5

The Place si apre su una pagina e con essa, o ciò che ne resta, si chiude. Cosa rappresenta quell’agenda nera, e chi è l’uomo che la possiede? A queste domande forse sapranno rispondere coloro che hanno già visto la serie tv a cui il regista Paolo Genovese si è ispirato, ossia The booth at the end (disponibile su Netflix), a cui si rifa quasi fedelmente, a parte pochi dettagli.

The Place è il bar dove un misterioso uomo passa le sue giornate anche dopo l’orario di chiusura: dal suo tavolo, sempre lo stesso, non si alza mai, e sempre lì riceve continuamente delle persone che lo raggiungono per chiedergli di realizzare i loro desideri. Ma niente è gratis, e tutto ciò che può essere fatto ha bisogno di qualcosa in cambio, che sia far attraversare la strada o uccidere una bambina.

In quanti farebbero una rapina per essere più belli o farebbero esplodere una bomba, uccidendo svariate persone, per salvare il proprio compagno dalla malattia? The Place è un film duro, che porta con sé un dolore profondo, che ritroviamo sul volto del protagonista Valerio Mastrandrea. Eccezionale nella sua parte, riesce straordinariamente a reggere un intero film senza mai alzarsi dalla sedia, solo mangiando, bevendo, scrivendo, ascoltando e accordandosi con gli avventori, con una mimica facciale che regala espressioni improvvise da un viso gelido che trafigge (e un solo sorriso accennato in tutto il film). La sua è una figura molto enigmatica; in lui, sul suo volto, si vedono il dolore e la delusione per un’umanità che rischia costantemente di oltrepassare il limite etico e morale per arrivare a ciò che egoisticamente vuole. Perché nessuno è costretto a fare ciò che gli viene chiesto, ma è libero di scegliere: quella proposta da quest’uomo è solo una delle tante possibilità. In tutta la drammaticità del caso, la delusione e la rassegnazione di far parte di un’umanità persa ed egoista, può esserci qualche spiraglio di speranza?

Rifacendosi al suo precedente Perfetti sconosciuti, Genovese torna ad utilizzare l’unità di spazio e gira un film in unico luogo. Qui, però, non c’è un gruppo di amici che scopre di non sapere nulla dell’altro, ma queste persone trovano un imput a scavarsi nel profondo grazie allo sconosciuto. Infatti anche se tutti si chiedono e gli chiedono chi sia, nessuno ha una risposta. “Come faccio a sapere che non Lei non è il diavolo?” “Non può saperlo”. E neanche lo spettatore lo sa, può solo fare congetture, fino alla fine.

Il resto del cast che prende alcuni dei migliori attori italiani sulla scena, vedi Alessandro Borghi, Marco Giallini, Rocco Papaleo e Vinicio Marchioni, ma anche Silvia D’Amico, Alba Rohrwacher, Silvio Muccino, Vittoria Puccini, Sabrina Ferilli, tutti perfettamente calzanti nel proprio ruolo. Ed è una gioia ritrovare Giulia Lazzarini.

In un film in cui è tutto un racconto e l’azione è quasi azzerata, la regia, pulita e lineare, senza artifici tecnici, si inchina alla recitazione di un cast che trova in Mastrandrea il suo re e che vale tutto il film, pecche (poche) incluse, assolutamente perdonate.

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