Le migliori cose del mondo: recensione film

IN UNA SAN PAOLO LONTANA DALLE FAVELAS LA STORIA DI MEMO CHE SEMBRA UN ROMANZO

GENERE: drammatico

DATA DI USCITA: 18 OTTOBRE 2012

Ispirato a una serie di romanzi di formazione scritti da Gilberto Dimenstein e Heloisa Prieto, Mano, il film di Laís Bodanzky Le migliori cose del mondo segue le vicende di un adolescente, Hermano il cui soprannome dà il titolo al romanzo, alle prese con la crescita e con un periodo della vita in cui lo stare in mezzo tra l’età adulta e l’essere ancora dei bambini comporta l’attraversare forse uno dei primi sentieri spinosi della vita.

Con una naturalezza disarmante fin dalle prime scene si capisce subito che la problematica su cui si baserà il film è quella della sessualità che nel lungometraggio ha due volti: quello di un quindicenne che vive lo sbocciare della consapevolezza del suo corpo in quello di una donna e quella di un uomo ormai maturo che scopre una forte attrazione per l’altro sesso.

Quando il padre di Mano e suo fratello Pedro decide di lasciare la famiglia per andare a vivere con un uomo la vita dei ragazzi si capovolge completamente e i pensieri diventano ingestibile. Le cose si complicano ancora di più quando il professore di chitarra di Mano, altra figura fondamentale per il ragazzo, sceglie di andare via alla conquista dei suoi sogni dando al protagonista il consiglio di non smettere mai l’importanza per ciò in cui crede. La vicenda narrata viene trattata dal regista con un’introspezione quasi letteraria seguendo gli sguardi e le reazioni.

La pellicola è imperfetta ma piena di spunti originali come l’idea di riprendere Mano e il suo professore dal buco di una chitarra. Il titolo sicuramente si rifà all’idea base del film che sottolinea che Le migliori cose del mondo non sono quelle perfette, ma solo quelle che ci calzano a pennello. Non c’è niente di più soggettivo del superlativo migliore.

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