Tabu: missing in italy

DAL PORTOGALLO ARRIVA UN OMAGGIO AL CINEMA DI UNA VOLTA SULLA SCIA DI “THE ARTIST”, MA MOLTO PIÙ ATIPICO

Quello di Miguel Gomes è un nome che perfino ai ‘cinephiles’ più accaniti non dirà nulla. Fino ad adesso. Questo regista portoghese nato da madre angolese alla sua terza opera ha fatto il giro dei festival del mondo con un’opera che fin dal titolo, Tabu, si presenta come omaggio al cinema di una volta, in maniera opposta rispetto all’exploit dell’anno scorso, The Artist. Ancora una volta si ritorna a parlare di cinema muto, ma siamo su territori più sperimentali e intriganti che in parte mirano al Tabu di Murnau, opera che negli anni del muto cercava una difficile integrazione tra documentario e melò dai toni operistici.

Il film dopo un’introduzione di ampio respiro svolta in Africa, ci introduce il personaggio di Pilar, una sessantenne appassionata di cinema, religiosa e alquanto riservata. La prima parte della pellicola, intitolata Paradiso Perduto, è riservata interamente a lei e alla sua fascinazione nei confronti della più anziana Aurora, lentamente afflitta dall’Alzheimer e convinta che la domestica nera prepari riti vodoo alle sue spalle. Un giorno la malata, in fin di vita, chiede a Pilar di cercare Gianluca, uno dei suoi amori della vita. Questo arriva troppo tardi, ma racconta alla domestica nera e alla protagonista la storia che aveva passato con l’allora bellissima Aurora in Mozambico, prima che le guerre per la decolonizzazione iniziassero. Inizia la seconda parte. Paradiso.

L’andamento della pellicola potrà scocciare inizialmente i più, magari non abituati a un cinema che esplori la quotidianità in maniera così fedele alla realtà, senza alcun apparente colpo di scena eclatante. Eppure uno spettatore attento non puo’ che essere affascinato dalla fotografia in bianco e nero in 4/3 e dal modo in cui Gomes registra esperienze apparentemente banali con un occhio sempre attento a situazioni atipiche, omaggiando il cinema di Jarmusch, filtrato stavolta attraverso la lezione esistenziale dei grandi della letteratura del Portogallo, Pessoa in primis.

A sorpresa dopo una prima parte buona, ma non particolarmente ricca a livello di storia, il film spicca il volo nel secondo capitolo giustamente intitolato come un libro della Divina Commedia. Per tutta la sua durata, sentiamo solo il ‘voice-over’ di Gianluca anziano raccontare con passione la più grande storia d’amore della sua vita, adultera e dal finale tragico, come ogni melò che si rispetti. Appassionato da una forma atipica di narrazione, Gomes per questa porzione di film decide di dare risalto solo alla narrazione dell’anziano personaggio, escludendo le voci dei protagonisti e mantenendo solo i rumori fuori campo, come se quei ricordi mantenuti così bene a livello visivo avessero perso qualcosa: in tutto questo lo spettatore è stregato, come se fosse lui stesso seduto di fronte a quel tavolo con Gianluca, ascoltando una di quelle storie da cui è impossibile distogliere l’attenzione. In questo modo il coraggioso regista esplora una nuova forma di fare cinema, omaggiando da una parte le storie romantiche di Murnau (e dunque anche il meraviglioso Aurora), ma anche interrogandosi sui meccanismi della memoria che tralasciano ciò che nella quotidianità ci appare così normale, la voce. Ed è grazie a questa omissione che un sorriso o uno sguardo emerge con maggiore chiarezza, scoprendo quei sentimenti che le voci talvolta riescono a dissimulare.

Passato con successo al festival di Berlino e omaggiato dalle riviste specializzate di mezzo mondo, Tabu è un’esperienza atipica nel cinema contemporaneo, che conferma quanto anche nei periodi di crisi ci possano essere giovani autori disposti a tutto pur di affermare la propria idea di cinema e capaci di comunicarla direttamente a chiunque sia curioso di ascoltare una delle storie d’amore più originali che il cinema ci abbia saputo offrire negli ultimi anni.

Ovviamente per quanto riguarda la distribuzione in Italia, tutto al momento tace…

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