Sound city: recensione home video

DAVE “FOO FIGHTERS” GROHL CONSEGNA UN APPASSIONANTE AFFRESCO DEGLI ANNI D’ORO DEL ROCK 

Si sa, cinema e rock spesso vanno a braccetto. Perfino a livello stilistico ci sono dei registi che nelle loro pellicole sapevano introdurre uno stile veramente (per dirla all’antica) ‘rock’n roll’ a cominciare da nomi scontati come Tony Scott e altri più imprevedibili come Winterbottom o Boyle, anche se il loro è un cinema più da ‘brit rock’, mentre magari un tipo come Refn puo’ essere classificato nello ‘shoegaze’ (…). Ma di documentari sul rock quanti ce ne sono? Si tratta di una categoria che in Italia non è tanto conosciuta, ma ve ne sono a decine: ora Dave Grohl, leader dei Foo Fighters e batterista dei Nirvana ha deciso di dire la sua, partendo dagli studi di registrazione che hanno lasciato un segno indelebile nella storia di certa musica dal ‘sound’ duro e puro.

Immaginiamo di fare un viaggio lontano da casa. Siamo poco meno che ventenni, non ce la facciamo più a sopportare l’autorità dei nostri, allora scappiamo alla volta di un luogo che puo’ dare forma ai nostri sogni di indomiti strimpellatori di chitarra e aspiranti gridatori in grado di strapparsi le corde vocali in un attimo: quel luogo è Sound City e qui ci sono passati alcuni monumenti viventi della storia del rock, da Neil Young a Tom Petty, fino ad arrivare ai più vicini Nirvana e i Rage Against the Machine.

Grohl con una passione contagiosa e uno stile degno di un documentarista di vecchia data riesce a trasmettere allo spettatore la passione e soprattutto la grinta di quegli anni in cui ancora si registrava su nastro e gli studi di registrazione puzzavano di piscio e alcool. Interviste a tecnici del settore vengono intervallate con interventi di chi ha fatto la storia del rock fino a giungere al confronto con chi cerca di lasciare un segno nella musica adesso, come il geniale Trent Reznor e i più giovani membri dei Black Rebel Motorcycle Club.

Per chi ama il genere si tratta veramente di un’occasione unica, adrenalinica quanto un film pieno di esplosioni e sparatorie, che permette oltretutto di scoprire artisti mai sentiti che negli anni ’70 e ’80 la differenza l’hanno fatta eccome (qualcuno ha mai sentito parlare dei Fear? Accendete subito Spotify e ascoltateli). Poi si passa alla registrazione in digitale e il documentario, grazie anche alle testimonianze di chi quegli anni li ha vissuti, prende una svolta drammatica che magari a chi si disinteressa degli aspetti tecnici della musica puo’ sembrare inaspettata, ma non poteva essere altrimenti, visto il calo qualitativo che la dittatura del computer in prima fase comporta in campo musicale. Poi si passa Cobain e soci e la storia cambia.

E non finisce qua, perché nella fase finale Grohl entra pure in scena a tutto campo, cercando di riportare tutti quegli artisti che hanno fatto la storia dei Sound City Studios per fare con loro un album che sia omaggio al passato e al tempo stesso colonna sonora del film. E lì la passione per la musica raggiunge il suo apice, con il musicista quarantenne che incontra i miti che hanno influenzato il percorso musicale fino ad arrivare a sua maestà Paul McCartney. E allora lì non resta che ascoltare. Battendo il piede per terra e muovendo la testa in modo forsennato, come solo succede con il miglior rock. 

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