Il principe del deserto: jean jacques annaud e il cast

PARLANO I PROTAGONISTI DELL’ULTIMA PELLICOLA DEL REGISTA FRANCESE

Il Principe del Deserto è popolato da personaggi indimenticabili che rivelano aspetti del mondo arabo raramente affrontati dal cinema. Al centro della vicenda il Principe Auda, timido studioso che tra mille peripezie si trasforma in re. Il produttore Tarak Ben Ammar e il regista Jean-Jacques Annaud sapevano di avere bisogno di qualcuno che interpretasse questo personaggio in modo convincente, per percorrere l’itinerario da innocente accademico a duro condottiero in battaglia.

L’attore scelto avrebbe anche avuto bisogno di sensibilità e carisma per trasmettere calore alla storia d’amore con la Principessa Leyla e desse vigore agli scontri con il villain interpretato da Antonio Banderas. Jean-Jacques Annaud è andato sul sicuro, puntando subito il dito su Tahar Rahim, attore franco-algerino che aveva appena finito di girare Il profeta, di Jacques Audiard.

Per Jean-Jacques Annaud, la scelta di un cast così internazionale è stata imperativa per poter rimanere fedele alla storia. “Dovevo accertarmi che il cast avrebbe  rappresentato l’enorme diversità di etnie della Penisola Arabica, con influenze provenienti da India e Pakistan nell’est, da Sudan, Somalia  e Zanzibar a sud, e dal Maghreb, Spagna e Turchia a nord”.

 

Annaud, come è arrivato a pensare al suo protagonista?

“Tahar era perfetto per il ruolo del Principe Auda. È uno degli attori di maggior talento della sua generazione ed è anche uno dei giovani più simpatici e generosi che abbia mai conosciuto sul set. Viene dall’Algeria, quindi fa parte della cultura araba, per cui non gli ho dovuto spiegare come pregare o come comportarsi davanti ad un anziano”. Per Jean-Jacques Annaud, la scelta di un cast così internazionale è stata

Banderas, come si è preparato al ruolo?

“Ho sempre avuto nella mia storia e nel mio background andaluso una certa affinità con il mondo musulmano e con quello arabo. Dagli attacchi alle torri gemelle di New York, nel 2001, c’è stata una divisione bipolare del mondo, e certi aspetti della cultura araba sono stati mal rappresentati. Per me è importante che  il film sia di intrattenimento romantico, epico, ma che costituisca anche l’opportunità di riflettere e mostrare con più profondità questa cultura che considero un po’ anche mia. E’ quasi nel mio subconscio. Quando visito i paesi arabi c’è qualcosa che riconosco, che mi appartiene”.

Freida Pinto, ancora una figura araba per lei?

“Una delle cose che mi ha attratto di Leyla, anche se il film è maggiormente concentrato sugli uomini, è come lei combatta in difesa della modernità. A quei tempi le donne di quel mondo non avevano molta libertà. Lei è il simbolo di ogni donna che vuole essere libera ed ascoltata. Come accade con l’India, penso che il mondo arabo non sia stato esplorato abbastanza, né sufficientemente rappresentato in termini cinematografici. Mi considero privilegiata per interpretare un’altra donna araba”. 

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