Golden Globes: edizione ‘anomala’

GOLDEN GLOBE AWARDS, COSA ASPETTARCI DAL GRAN RITORNO DEI PREM TRA NOMINATIONS E POLEMICHE

 

emilyinpariis Il 3 febbraio 2021 sono state rese note le candidature ai premi assegnati ogni anno dall’associazione della stampa estera di Hollywood. La cerimonia di premiazione dei Golden Globes si terrà il 28 febbraio 2021 con la doppia conduzione affidata a Tina Fey e Amy Poehler.

I premi si dividono in due macrocategorie, quelli destinati al mondo del cinema e quelli dedicati alla televisione, serie TV, miniserie e film creati appositamente per il piccolo schermo. Tra i nominati, anche i film d’animazione Onward-Oltre la magia e lo (permettetemi il personalissimo commento), straordinario Soul della Disney Pixar.

L’Italia è in gara con “La vita davanti a sé” (disponibile in streaming su Netflix) nella categoria dedicata ai film stranieri e con la canzone Io sì” di Laura Pausini in collaborazione con Diane Warren e Niccolò Agliardi.

Il film, diretto dal secondogenito dell’attrice, Edoardo Ponti, se la vedrà con agguerriti competitors, a partire dal già pluripremiato Another Round del danese Thomas Vinterberg. Nella notte che premierà i 78° Golden Globes, tra il 28 febbraio e il 1° marzo, si avrà dunque un film italiano a concorrere tra coloro che sono considerate le migliori opere non in lingua inglese in circolazione. Ma se è vero che i Globes sono l’antipasto degli Oscar con la maggioranza delle nomination dei film stranieri che tendono a coincidere, diventa immediata la reazione davanti alla “discrepanza” fra il prescelto rappresentante italiano per gli Oscar (Notturno di Gianfranco Rosi) e quello che la FPA ha deciso di candidare ai Golden Globes. Si tratta, sondando a braccio la memoria, di una situazione pressoché inedita e condita da un pizzico di curiosità.

Entrando nel merito del fortunato prescelto, si tratta del secondo adattamento dell’omonimo romanzo del francese Romain Gary del 1975. Di ambientazione barese, racconta l’inconsueta amicizia tra l’anziana Madame Rosa (Sophia Loren) e un ragazzino di origini senegalesi di nome Momò (l’esordiente assoluto Ibrahima Gueye) che le è stato affidato temporaneamente dall’amico, il dr Cohen (Renato Carpentieri). Un rapporto fra sofferenze passate in epoche diverse (lei è un’ebrea sopravvissuta ad Auschwitz, lui un vivacissimo orfano che vive per strada) che trova sostanza salvifica per entrambi. Attorno a loro un’umanità emarginata dalla società “che conta”: la vicina di casa transessuale spagnola (Abril Zamora), l’amico iraniano vedovo e solitario che impagina libri e tesse tappeti (Babak Karimi), lo spacciatore che adesca Momò (Massimiliano Rossi), i bambini abbandonati ospiti sia da Cohen che da Rosa. Incrociando storie private siffatte sullo sfondo contemporaneo, Ponti fa uso abbondante del politically correct non scevro da luoghi comuni e parecchi cliché in un linguaggio filmico forse un po’ semplicistico. Ci si emoziona di buoni sentimenti (ed è naturale che accada essendo questa la funzione primaria dell’opera in esame) e si apprezza la profondità interpretativa dell’eterna Sophia Loren, ma al di là di questo non c’è tanto altro da aggiungere.

La situazione pandemica globale ha ovviamente avuto un impatto sui Golden Globes che va oltre le modalità di conduzione della cerimonia. Ad esempio, quasi tutti i film in corsa sono stati rilasciati online senza mai arrivare alle sale e Netflix domina le nomination.

Le polemiche non sono mancate, soprattutto a causa dell’ente di selezione, l’opaca Hollywood Foreign Press che non è famosa per il suo giudizio meritocratico né per l’inclusività, ma ci sono state anche piacevoli sorprese, come quelle che riguardano le candidature a miglior regista. Per la prima volta infatti figurano ben tre registe donne: Chloe Zhao con Nomadland, l’esordiente Emerald Ferrell con Promising Young Woman e Regina King con One Night in Miami. Al loro fianco, David Fincher con il rapsodico revival di Hollywood Anni 50, Mank e Aaron Sorkin con Il processo ai Chicago 7.

Tra le nomination “auspicabili” anche La regina degli scacchi. Rimanendo nella grande famiglia delle serie tv, hanno guadagnato un discreto bottino di candidature anche The Crown (migliore serie tv drammatica, miglior attore protagonista per Josh O’Connor, miglior attrice protagonista per Olivia Colman e Emma Corrin e anche due nomination per attori non protagonisti), la serie evento di Nicole Kidman The Undoing e il disturbante spin off de L’uomo che volò sul nido del cuculo, Ratched, che vede le due attrici Sarah Paulson e Cynthia Nixon candidate nelle rispettive categorie. Guadagna diverse nomine di rilievo anche Emily in Paris, sollevando non poche critiche, soprattutto perché le sue stucchevolezze sono state preferite all’incisività di serie come I May Destroy You, esclusa senza appello dalla lista dei candidati.

Sul fronte dei film stranieri si è scatenata (come prevedibile) la diatriba rispetto ai meccanismi un po’ obsoleti dei Globes che prevede che i film in lingua straniera non possano essere nominati per i premi principali. Questa convenzione aveva già causato alcune storture negli anni passati, ad esempio escludendo Parasite di Bong Joon- Ho che poi ha trionfato agli Oscar, e si ripete nella sua fallacia quest’anno, relegando in secondo piano Minari. Il film del regista americano Lee Isaac Chung, che affronta il tema dell’american dream, è infatti finito tra i film in lingua straniera perché recitato prevalentemente in coreano. Ennesimo tema caldo, le nomination per la migliore commedia o musical dell’anno che vede tutti d’accordo sul ritorno di Borat, ma divide su Music che ha suscitato forti dubbi per il modo in cui tratta l’autismo.

Se le polemiche sono endemiche a qualsiasi tipo di premiazione, come fa notare il New York Post, quelle ai Golden Globes sono piuttosto motivate in quanto non sempre le nomination si rivelano premiare il talento su base meritocratica. Per spiegare il problema in poche parole, il giornale cita una frase di Ricky Gervais, creatore di The Office e conduttore dei Golden Globes nel 2010, 2011 e 2012: “I Golden Globe stanno agli Oscar come Kim Kardashian a Kate Middleton: solo un po’ più rumorosa, un po’ più trash, un po’ ubriaca e più facilmente corruttibile“.